E’ un mattino di giugno, bello e soleggiato. Siamo seduti su un treno locale, fermo alla stazione di Aomori. La stazione non è grandissima, ed è piuttosto tranquilla. La nostra meta per la giornata è Hirosaki, che raggiungeremo sempre a bordo di questo treno locale. I sedili ti fanno dare le spalle ai finestrini, sono delle morbide e lunghe poltroncine senza divisori, pronte a riscaldarsi d’inverno, sotto le tue gambe. Le porte del treno sono aperte, mentre aspetta quella ventina di minuti prima dell’orario di partenza. Il macchinista che abbiamo lì vicino, perché siamo sulla prima carrozza, sta consultando delle carte con calma. D’improvviso, sentiamo un vociare allegro. Una scolaresca, un gruppo di bambini sui sei anni, che sciamano giù per le gradinate del sovrappasso che conduce al binario. Mi sporgo a guardarli per un attimo, si avvicinano al treno e le due ragazze che li accompagnano spiegano loro qualcosa prima di salire. Il conducente, non appena vede tutti quei piccolini, sorridendo fa fischiare il treno più volte, con grande gioia dei bambini che ridono entusiasti. Uno dopo l’altro, salgono passando per le porte aperte alla nostra destra. Le ragazze che li accompagnano ci fanno un cenno di saluto, raccomandano ad alcuni di loro di non pestare i piedi di mio marito, che ha le gambe piuttosto lunghe, e pian piano uno dopo l’altro i bambini si siedono accanto e davanti a noi. Una fila di visetti dai luminosi occhi neri e lucidi capelli color ebano. Le maestre sono due ragazze sui trentacinque anni, come me. Si siedono tra i bambini, ogni tanto parlano a qualcuno di loro, più che altro raccomandando di non disturbare. Una bambina è seduta accanto a mio marito ed ogni tanto lo guarda un po’ incuriosita, così come qualche altra bambina, seduta di fronte a noi, ogni tanto lancia un’occhiata a me e al quadernetto turchese sul quale ogni tanto scrivo qualcosa. Poco dopo arriva anche un signore di una certa età, magro e con radi capelli grigi, in un elegante completo marrone chiaro, che scambia qualche parola con il conducente e poi con le due maestre. E’ anche lui un accompagnatore, si siede a sua volta tra i bambini. I piccoli sono incuriositi dalla cabina del conducente. Il maestro più anziano si alza e di nuovo parla con il conducente, quindi chiama i bambini facendo qualche cenno e dando alcune brevi istruzioni. A due a due, i piccoli si avvicinano a guardare la cabina, le sue mille leve, lucine, pulsanti, quadranti. Il vecchio maestro spiega qualcosa, il conducente aggiunge e mostra. Arriva anche un altro ferroviere, un giovane che sino a poco prima era fuori sul binario, e partecipa alla spiegazione. Resto affascinata da come i bambini si avvicendino ordinatamente. Quando i compagni precedenti hanno visto, altri due bambini, uno per lato della carrozza, si alzano insieme, si prendono per mano e vanno a vedere, tranquilli, con grandi sorrisi.
Ad un certo punto sale sul treno ancora in attesa dell’orario di partenza una signora anziana. E’ magra, alta, anche se un po’ curva per l’età, i capelli argento chiaro, un golfino beige e una gonna elegante. Si guarda intorno e la sua espressione un po’ pensierosa si addolcisce, nel vedere i bambini. Non appena la scorgono, le due giovani maestre erompono in un’esclamazione di sorpresa e gioia, ad alta voce.
“Sensei! Ahhh, Sensei!” la accolgono alzandosi per andarle incontro, gli occhi grandi e un po’ lucidi per l’emozione. La signora le saluta con dolcezza. I bambini seduti guardano incuriositi le loro maestre, che si rivolgono loro spiegando “Lei era la nostra maestra, quando eravamo bambine”. A quel punto anche i bambini sembrano partecipare all’incontro. Fanno spazio all’anziana sul sedile di fronte al nostro, lei si siede in mezzo a loro con l’agio di chi ha trascorso tanti anni in mezzo agli scolari. Cominciano a farle qualche domanda, lei risponde ad ognuno con voce paziente, chinando la testa di lato per ascoltare meglio.
“Sta andando anche lei a Shin-Aomori, Sensei?” chiede una delle giovani maestre. Lei scuote la testa “Vado a Hirosaki”. C’è nelle espressioni delle ragazze un mondo di parole che desiderano dire, e di immagini che rievocano. Vedo la contentezza per quell’incontro, il senso di orgoglio nel farsi vedere, ormai adulte, da quella che era la loro insegnante proprio nel suo stesso ruolo, circondate dai loro alunni, che tra l’altro si stanno comportando molto bene. C’è una bella atmosfera. Durante il breve tragitto, le giovani chiacchierano con la signora, ogni tanto distinguo un “Ah, che nostalgia!”
La scolaresca scende a Shin-Aomori. I bambini strillano contenti “Shinkansen! Shinkansen!” Salutata la vecchia maestra, le ragazze e l’insegnante più anziano li fanno scendere, raccomandando loro di non correre e di non urlare, e guidandoli verso la zona della stazione da dove si prendono i treni Shinkansen. La signora rimane sola, sul sedile di fronte al nostro. Il suo volto, pur essendo disteso nella calma, torna un po’ più serio, pensieroso. Dopo un po’ chiude gli occhi e si assopisce.
Io ripenso alla scena appena vista. Un susseguirsi delle generazioni, e la sensazione che il lavoro fatto, quando viene svolto con amore e cura, lascia sempre il segno. Soprattutto un mestiere particolare come quello di maestro, che ha il compito delicato ed importantissimo di accompagnare nella crescita quelli che saranno uomini e donne dei giorni a venire. L’entusiasmo con cui quelle ragazze, ora maestre a loro volta, hanno accolto la loro vecchia insegnante, era un misto di gratitudine e soddisfazione, espressa con il volerla in mezzo a loro, con il presentarla ai piccoli. Lei probabilmente aveva lasciato un ricordo così positivo da essere divenuta un esempio di quello che sarebbero volute diventare, e che sono riuscite ad essere. La riconoscenza passava attraverso il farle constatare, grazie all’occasione dell’incontro durante il lavoro, che quanto aveva fatto, nel passato, aveva messo radici nei loro cuori e fatto comprendere ai destinatari della sua dedizione quale potesse essere la loro strada. E che meraviglia fosse proprio la stessa da lei intrapresa. Nei bimbi c’era invece la curiosità nel pensare piccole le loro maestre, nel rendersi conto che, sebbene potesse sembrare molto strano ai loro occhi, anche quelle figure un po’ autoritarie un tempo avevano fatto, pensato e sentito le stesse cose. La prova vivente era proprio quell’anziana signora che si era seduta in mezzo a loro, e che per un attimo era come tornata al tempo in cui accompagnava i propri allievi nelle gite.
Gioia, rispetto, riconoscenza. Ho potuto assistere a questa scena così semplice e così bella. Guardo la signora che dorme, di fronte a me, il paesaggio che le scorre alle spalle. Forse oltre le sue palpebre chiuse scorrono anche i ricordi di quelle donne che un tempo erano bimbette come quelle che sino a poco fa sedevano accanto a lei. Forse all’epoca le dicevano che sarebbero diventate anche loro delle maestre come lei. Forse le ha incoraggiate, oppure ha sorriso benevolmente dei loro sogni infantili, che non sempre proseguono nell’età adulta. Invece l’hanno fatto davvero. C’è stata una corrispondenza di sentimenti che ha portato ad una continuità che è legame.
Allievi e maestri. Ruoli che ognuno può assumere nella propria vita, anche al di fuori di quanto è più strettamente istituzionale. Un filo invisibile che lega e rende più saldi nella strada lungo le generazioni, una dopo l’altra.