Banana Yoshimoto – Poesia del vivere

Banana Yoshimoto è stata per me uno dei primi modi in cui ho iniziato a conoscere un po’ più a fondo il Giappone, imparando poco a poco a vederlo da un altro lato, che andava oltre quanto avevo potuto fino a quel momento intuire grazie alle serie animate che avevano accompagnato infanzia e adolescenza di molti.

I primi suoi romanzi che lessi furono Tsugumi, Kitchen, e la raccolta di racconti Lucertola. Ne sono seguiti altri, circa una ventina, che ho più o meno apprezzato, e vi è stato anche un periodo in cui ho smesso di leggerla, forse proprio perché vedevo riproporsi con troppa frequenza quanto avevo già trovato in romanzi precedenti, ai quali ero più legata e che mi pareva avessero espresso con maggiore intensità i temi principali cari all’autrice, che avessero maggior forza nel trasmettere l’incanto. Con Tsugumi soprattutto mi ero lasciata totalmente avvolgere dalle atmosfere che questa scrittrice è in grado di evocare. Soffuse di un profondo stupore che nasce da cose semplicissime, un delineare con poche parole la bellezza di un paesaggio, di uno scorcio di città o di una località balneare, suoni, colori, profumi. E quel profondo senso di nostalgia, come stesse narrando di dolci ricordi di cui si parla rievocando un sogno confuso eppure bellissimo.

Il luogo in cui si muovevano i suoi personaggi era un Giappone che cominciava in tal modo ad esercitare sulla me adolescente un fascino indefinito eppure in grado di insinuarsi sempre più a fondo nell’animo. Un luogo che sarebbe diventato con gli anni il paesaggio a cui tornare, anche se allora non lo sapevo, e neppure lo immaginavo.

Poco fa ho finito di leggere Il dolce domani, romanzo che ripropone diversi temi cari all’autrice. C’è la perdita, in questo caso si tratta di un lutto, una ragazza che sopravvive all’incidente d’auto in cui è morto invece il suo compagno. La perdita è il tema principale di tutti i romanzi di questa autrice. Può essere quella più forte, ovvero la morte di qualcuno di caro, ma non solo. Può essere la perdita di abitudini e identità che prelude ad un nuovo periodo della propria vita, come il passaggio da infanzia ad età adulta. O la perdita come separazione da qualcuno con cui si interrompe una relazione. Sono molte le sfumature che nei suoi romanzi assume questo punto dopo il quale i suoi personaggi devono ricominciare, darsi la forza di proseguire in qualche modo la propria vita.

E dalla perdita si snoda direttamente il secondo tema principale dell’opera di questa autrice: il proseguire, il darsi da fare con tutte le proprie forze non per fare chissà che, o per dare chissà quale esempio o lezione per spiccare sugli altri come persone che ce l’hanno fatta, ma semplicemente per vivere. Non c’è mai il tono cupo del dramma, non si percepisce mai un senso di gravità dalle parole dei suoi personaggi, che nella maggior parte dei casi raccontano in prima persona quanto gli accade. Il registro è sempre posato, le vicende si snodano senza climax particolari, anche se si sta parlando di sensazione dolorose o di momenti di smarrimento e tristezza.

Altra caratteristica che si trova ne Il dolce domani e che è tipica dei romanzi di Yoshimoto è quell’aria di realismo magico che sfuma tutte le vicende conferendo loro un’atmosfera sospesa, quasi di sogno. La protagonista, in questo caso, dopo l’incidente e dopo essere scampata alla morte comincia a vedere i fantasmi di alcune persone. La stranezza viene narrata e vissuta come se si trattasse di un ennesimo aspetto imprevisto e un po’ particolare del vivere, ma privo di qualsivoglia dramma. E di qui entra un altro tema, quello della sottile linea di confine tra il mondo dei morti e quello delle persone vive, quella consapevolezza commossa che vi sia una corrispondenza di affetti e sentimenti che lega in modo invisibile tutte le persone che ancora sono tangibili in questo mondo e quelle che non lo sono più. Quel confine si fa più sottile proprio nei momenti della vita in cui è necessario abbandonare quel prima che forse davamo per scontato e ci rendiamo conto ci definiva. E guardando dall’altra parte possiamo proseguire verso qualcos’altro, verso quel noi apparentemente privato di tutto quello che rimpiangiamo.

Circa questa autrice, nel corso degli anni ho sentito pareri discordanti: chi diceva fosse diventata così famosa in Italia solo perché era stata una delle prime ad avere una certa diffusione, e che il suo successo fosse tutto merito delle splendide traduzioni di Giorgio Amitrano. Chi diceva che i suoi romanzi erano troppo semplici, un po’ melensi, paragonabili in senso negativo per profondità ad uno shojo manga – credo che in realtà il paragone con lo shojo manga dovrebbe essere rimarcato in senso positivo per la capacità di offrire scorci di vita quotidiana del Giappone con semplice efficacia e piacevolezza.

Ci sono effettivamente delle caratteristiche della sua scrittura ricorrenti, che spesso vengono sottolineati in modo critico. Le frasi molto brevi e che possono sembrare degli aforismi per il loro contenuto poetico e quasi tendente a dare una qualche rivelazione o lezione su alcuni aspetti della vita. L’assenza di una trama consolidata con i vari gradi dello svolgersi di una storia vera e propria, perché in fondo si narra del semplice trascorrere dei giorni e delle riflessioni di ogni personaggio, con inframmezzati alcuni eventi privi di chissà quale rilevanza. Il mancare di picchi particolari di emozioni forti e dirompenti. Eppure, tutte queste caratteristiche sono anche il suo punto di forza, a mio parere.

Ripeto, parlo da lettrice che ad un certo punto si è presa una pausa dalle sue opere, proprio perché mi sembravano tutte troppo simili, e non ne trovavo una che mi facesse innamorare come le prime che avevo letto.

Fermo restando che i gusti in fatto di letture sono anche questione soggettiva, personalmente io trovo che non sia affatto facile parlare di temi così importanti e pesanti con la dolcezza e leggerezza solo apparente di Banana Yoshimoto. C’è nei suoi romanzi sempre quel sottofondo di speranza, di invito gentile a cogliere la bellezza anche nel buio più profondo che credo non sia affatto banale. Non ci sono eroi nei suoi libri, ci sono persone che vivono il proprio quotidiano, che portano pesi nell’animo più o meno pesanti, e cercano di andare avanti. I protagonisti possono apparire talvolta privi di tratti forti o particolari nel carattere proprio perché potrebbero essere ognuno di noi, ci stanno dicendo che siamo tutti esseri umani in balia delle alterne prove che può riservare la vita.

Il tono dolce e tranquillo, l’insistere sui particolari come il cibo, sempre pregustato ancora prima di consumarlo come esperienza che prospetta un attimo di gioia, o una bella giornata di sole, o uno scorcio di natura, o i particolari di un volto, non sono altro che un invito a godere di ogni momento, un rassicurare e incoraggiare chi magari il bello non riesce proprio a trovarlo, in circostanze dolorose. Questa è sempre stata la cifra di Banana Yoshimoto.

Forse nel corso degli ultimi anni siamo stati talmente sommersi da questi concetti, diffusi in modo “preconfezionato” per seguire una moda che si è dimostrata redditizia, da aver dimenticato quanto siano effettivamente importanti e veri, e come ci siano autori che hanno sempre saputo esprimerli con la capacità di arrivare a tutti, di trasmettere anche solo durante la lettura un senso di speranza, o la sensazione di essere compresi.

Così scrive Banana Yoshimoto nella Postfazione a Il dolce domani, scritto dopo la tragedia del terremoto del 2011, quando le parole mancavano, e le sembrava quasi di essere inopportuna nel pensare di scrivere qualcosa che non avesse una certa gravità o profondità:

Mi sono detta che in molti, forse, avrebbero pensato: “Ma chi vuoi prendere in giro? A che serve questo romanzetto ingenuo?”.

Ma poi ho pensato che io non scrivo opere colossali, che mettano tutti d’accordo: posso solo, nel mio piccolo, rivolgermi a quei pochi che, per un motivo o per un altro, si sentono aiutati, o confortati, leggendo i miei romanzi.

Se anche solo una persona dovesse pensare che questo libro è arrivato nel momento giusto, se leggendolo riuscisse a riprendere fiato dopo tanto tempo, allora ne sarò felice.

Banana Yoshimoto, Il dolce domani, traduzione di Gala Maria Follaco, Feltrinelli, p.101 (Postfazione)

Banana Yoshimoto è tutta qui, in queste semplici parole.