Ho appena finito di leggere questo libro in cui l’autore, Luigi Gatti, narra della sua esperienza lungo il cammino degli 88 templi nell’isola di Shikoku. Ho sempre apprezzato i racconti di viaggio, soprattutto quando si parla di Giappone. Tuttavia, era da un po’ che non chiudevo uno di questi libri con un senso di soddisfazione per aver imparato tante cose nuove sul paese che amo. Oltre che essere un interessante resoconto di viaggio, infatti, quest’opera non si limita a ripetere cose che, bene o male, ormai molti appassionati del Paese del Sol Levante sanno. Svela dei lati nuovi, mostra una sorta di mondo parallelo a quella superficie del paese che in questi ultimi anni si è rivelata in molti suoi aspetti anche all’Occidente. Il mondo lento e profondo degli Ohenro, i pellegrini che decidono di intraprendere la via degli 88 templi che, nell’isola di Shikoku, ripercorrono ed onorano la vita e le opere di Kōbō Daishi, il fondatore del buddhismo Shingon. Mondo parallelo, certo, ma che cammina insieme all’animo dei giapponesi stessi, che a questi pellegrini dimostrano enorme rispetto, affidando loro in un certo senso anche le proprie speranze e devozioni.
L’autore, narrando del viaggio, racconta anche di sé: di come, lungo il cammino di Santiago, abbia avuto il primo contatto con il Giappone, per una concatenazione di coincidenze che, in fondo, lasciano pensare che tali non dovessero essere, ma che in qualche modo fossero tappe volute dal destino. Delle esperienze personali e lavorative che si snodano lungo anni, durante i quali egli prova sulla sua pelle i lati più negativi di una cultura che comunque continua a rispettare ed apprezzare, lo portano infine ad intraprendere il pellegrinaggio nello Shikoku.
Lo stile del narratore è semplice, entusiasta e confidenziale, eppure in grado di fermarsi a descrivere momenti di grande bellezza con una sorta di rallentamento del ritmo narrativo che ben rende l’idea dell’attimo in cui tutto si ferma e non si può far altro che contemplare. Ho apprezzato il fatto che vi sia, nel dare il resoconto del proprio percorso, anche estrema sincerità nell’affermare che in alcuni templi non si sia soffermato più di tanto, o che non sia riuscito a vedere magari la cosa ritenuta il “pezzo forte” del luogo. Perché questa è la realtà del viaggio, oltre la patina delle grandi ed uniche esperienze e dell’imperdibile che oggigiorno si vorrebbe far vedere agli occhi altrui. Ci si stanca, si sbaglia, si rinuncia a qualcosa, ci si innervosisce, si è preda dell’ansia. E spesso proprio calcolando male tempi e luoghi ci si imbatte in qualcosa che resterà per sempre nei nostri ricordi, e ci insegnerà qualcosa.
Ho visto riflesse in questo libro alcune delle emozioni provate nel mio viaggio più recente, quest’estate, in cui ho potuto fare una breve puntata nello Shikoku, recandomi nella città di Takamatsu per visitare i meravigliosi giardini Ritsurin Koen. Ho provato la simpatia, nel senso più profondo del termine, verso un altro essere umano come me, che in questi ultimi anni ha vissuto delle esperienze negative che, per quanto possano essere diverse, lasciano smarriti e portano a dover ricominciare, a doversi ritrovare, a dover cambiare sguardo ed aprire mente e cuore.
Concludo con una citazione del libro, una delle parti che più mi ha colpita e commossa, oltre che, in un certo qual senso, illuminata:
Dal Buddhismo ho appreso molte cose, oggi vorrei insegnarne una a lei. Qualsiasi cosa materiale, per quanto lei possa esserci affezionato, non le appartiene per sempre. Se vuole dare nuova vita a qualcosa che ama, la regali a una persona a lei cara.
Luigi Gatti “Il cammino del Giappone” Ugo Mursia Editore, p. 157