C’era una volta il mistero

C’era una volta il mistero di un paese lontano, dove ogni abitudine e aspetto della vita quotidiana di chi proveniva da quello che si tendeva a considerare come il centro del mondo parevano rovesciati, sintomo di un diverso modo di pensare ed intendere anche le azioni più banali. Un paese curioso, quasi di fiaba, che era rimasto irraggiungibile per tanto tempo, e che ancora non sembrava aprirsi del tutto al mondo esterno.

C’era una volta quel paese immaginato il cui solo nome evocava qualcosa di esotico, armonioso, incomprensibile e proprio per questo irresistibilmente fascinoso. Era il paese dove solo alcuni viaggiatori coraggiosi osavano avventurarsi, non mancando poi di rimarcare come la cultura del popolo di cui erano ospiti fosse profondamente diversa dalla propria.

C’era una volta quel paese che dopo anni ed eventi terribili divenne simbolo del futuro, della tecnologia avanzata, delle metropoli da fantascienza. Un paese che spesso è stato associato al consumismo più sfrenato e ai vizi più inconfessabili, e proposto come esempio di quanto la modernità potesse consistere di molti lati oscuri.

C’era una volta quel paese che pareva poter realizzare i sogni di bambini di molti che lo vedevano come il luogo di origine di una produzione animata e fumettistica che aveva accompagnato la loro infanzia e adolescenza. Un paese che proprio per la frequentazione delle sue storie appariva famigliare nei suoi paesaggi e in alcune abitudini, come le ricorrenze, eppure ancora incomprensibile in alcuni suoi aspetti.

C’era una volta il Giappone, che ad ondate diviene argomento e luogo di moda. Il Giappone che propone la propria immagine in un certo modo, per raccontarsi all’Occidente secondo quanto ritiene possa essere attrattivo o positivo per l’occidentale, e vantaggioso per la propria nazione in rapporto a partner e altri attori internazionali.

C’è il Giappone di adesso, raccontato in incalcolabili profili social, apparentemente declinato in ogni sua caratteristica, lodato, suggerito, quel Giappone che sembra riuscire a diventare opportunità di lavoro di per sé, un argomento che a quanto pare attira molti. Viaggi proposti ovunque nonostante i prezzi siano aumentati rispetto agli anni scorsi – e una richiesta incredibile per gli stessi – tantissimi libri di autori giapponesi pubblicati, estetica e cultura giapponese esaltate come depositarie del modo migliore per affrontare la vita. I manga che spopolano addirittura nelle librerie, come si vedeva anni fa solo in Francia, e in misura minore rispetto ad ora.

Quello che mi domando è dove sia rimasta ormai traccia di quel mistero che tradizionalmente si associava al Giappone, un tempo. Ci pensavo tra ieri e oggi, scorrendo molti profili sui social. Praticamente ormai viene mostrato tutto, spesso si parla tutti della stessa cosa, e chi volesse fare un viaggio in Giappone se decide di farlo sulla scia del desiderio suscitato dai social, avrà già visto tutto, l’unica differenza sarebbe vivere l’esperienza in prima persona, con tutta la profondità e la diversità del provare qualcosa dal vivo – cosa che è preferibile, ovvio – ma senza alcuna vera sorpresa, mi verrebbe da dire.

Penso alle persone che hanno fatto i loro viaggi in Giappone anche solo poco più di una decina di anni fa, quando tutto era davvero ostico e una vera e propria avventura. Niente mappe e percorsi via internet, niente itinerari dettagliati a puntino con tanto di video, foto, cibo, shopping, attività consigliate, comportamenti da tenere, curiosità, addirittura suggerimenti su come dovresti guardare le cose o sentirti, quasi. Spesso niente indicazioni che non fossero in lingua, e persino chi l’aveva studiata veniva messo a dura prova sul campo.

Questo mistero che va a poco a poco sparendo è qualcosa di negativo? No, non lo penso. La conoscenza e la diffusione della cultura sono sempre qualcosa di positivo. Certo, la valanga inesauribile di informazioni potrebbe da un certo punto di vista essere controproducente, quando l’effetto diventa disorientante e non si sa bene come setacciare quanto effettivamente interessa.

Cosa rimane quindi del mistero di un tempo, quell’aura che lo stesso Giappone ha voluto narrare all’esterno, ma che certo appariva più consistente quando non si avevano tutte queste possibilità di sapere tutto nei minimi dettagli? Io credo che dipenda da come ognuno sceglie di vivere l’approccio ad un paese, ad una cultura. Trovare ogni giorno una ragione per scegliere di dedicarsi all’imparare è anche rendersi conto che in realtà non si esaurisce mai quel velo di impenetrabilità che caratterizza la cultura di un paese che non è il proprio. Non si conosce davvero nel profondo neppure la propria cultura, figuriamoci quella dell’Altro. Ci sono tanti di quegli aspetti che non sono visibili e che appartengono a strati su strati sotterranei che spesso chi appartiene a tale cultura non desidera mostrare troppo all’esterno che non basterebbe una vita per dire di sapere davvero tutto.

Quel disvelamento completo, tutte quelle possibilità di vedere, sentire, riconoscere, fare, restano pur sempre superficie, magari una dignitosissima occasione per svagarsi o rilassarsi con qualcosa che piace, ma l’approccio che vuole andare oltre richiede molto più tempo e pazienza. Penso solo a quello che è imparare una lingua diversa dalla propria, già questo impegno non da poco. Per poi scoprire che non si arriva mai ad una vera e propria meta, che non ci sono obiettivi o risultati da raggiungere o da misurare.

La mano verso quel mistero che si cerca di afferrare la si tenderà sempre.