Per comprendere il Giappone, infatti, occorre resistere alla tentazione di assumere il nostro mondo come unico termine di confronto, di servirsi in modo acritico di categorie e concetti propri della storiografia occidentale o, anche, di accogliere le interpretazioni, spesso semplicistiche e talvolta persino grossolane, che vengono proposte da un’informazione di massa impegnata a svelarci i “misteri dell’enigma giapponese”. D’altra parte, il Giappone resta per molti versi un enigma anche per chi, pur continuando ad esaminarlo, si trova ogni volta ad affrontare questioni nuove, a formulare domande inedite, a trattare aspetti singolari, talvolta persino sorprendenti. Si tratta, tuttavia, di un problema comune a chiunque si interroghi sulla storia, passata e presente, di una determinata società, e dunque il Giappone non è in fondo più enigmatico di altri Paesi, compreso il nostro.
Rosa Caroli, Francesco Gatti Storia del Giappone, edizione aggiornata e ampliata, 2019 Editori Laterza, p. XVI (Introduzione)
In questi giorni ho letto questo interessante testo, una panoramica sulla storia del Giappone per meglio comprendere le vicende che hanno attraversato questo paese. La citazione qui sopra, tratta dall’introduzione, esprime un concetto a me molto caro, con il quale mi trovo sempre d’accordo. Non si può pretendere di comprendere il Giappone basandosi unicamente sulle nostre categorie di pensiero e di analisi, su quello che, considerato valido per il nostro tipo di cultura, crediamo sia giusto applicare anche ad un’altra società.
Ho talvolta l’impressione poi che il concetto di comprendere venga erroneamente inteso come denigrare, opponendo valori e concetti derivati dal buon senso che si dimentica essere sempre legati ad un contesto particolare. Critico e denigro, opponendo invece le mie idee su come dovrebbero essere affrontate le cose, perché in fondo non mi voglio nemmeno sforzare di comprendere, e parto dal presupposto che il mio modo di ragionare sia giusto. Molto spesso è inevitabile farlo, perché si cresce e si vive in un sistema di valori che forma il modo di pensare, anche se si crede di essere oggettivi, e si è convinti che quanto si stia criticando sia palesemente sbagliato. Non è condizionamento, è il modo di pensare che deriva dal contesto, pensiero condiviso che diviene istinto. Ed è molto difficile superarlo per cercare di addentrarsi nelle cose, anche quelle che appaiono più incomprensibili, e vederle per quello che sono, sfrondandole di ogni costruzione preesistente. Poi, è umano e ovvio avere delle proprie opinioni su certi aspetti di altre culture, ed è legittimo, sempre che questo non sfoci nell’odio con tutte le sue forme e conseguenze. Bisognerebbe però fermarsi un secondo ed interrogarsi circa l’avere tutti gli strumenti a disposizione per giudicare, e se questi siano davvero validi.
Allo stesso modo, spesso si cerca di dimostrarsi insofferenti o estranei al proprio contesto originario lodando invece ogni aspetto della cultura altra, paragonandola alla propria, che ovviamente esce sempre sconfitta dal confronto. Anche questo è frutto di un interpretare l’altro attraverso la nostra visione, perché l’intento critico ed insofferente nei confronti della propria cultura, il modo in cui vogliamo metterne in evidenza i difetti rispetto ad un’altra che riteniamo migliore – spesso semplicemente perché non ne facciamo parte se non come spettatori o fruitori dei suoi lati migliori e quindi non abbiamo nemmeno reali doveri verso di essa – viene sempre esercitato attraverso la nostra cultura stessa e gli strumenti e modi che utilizza per affrontare un argomento.
In entrambi i casi, non si comprende davvero granché.
Come se ne esce? Attraverso tanto studio e tanta curiosità, con una predisposizione d’animo aperta e rispettosa delle molteplicità.
Vale per qualsiasi cultura, compresa la nostra, che certo non è semplice da comprendere e conoscere veramente. Ad esempio, se solo penso alla complessità della storia dell’Italia mi vengono le vertigini e mi pare di non saperne praticamente niente. E una storia tale ha formato una cultura, che è quella in cui siamo nati e viviamo, quella che diamo per scontata, che si relaziona con tantissime altre, creando il magnifico mosaico che è l’umanità.
Difficile accostarsi ad un livello oltre l’amenità e l’osservazione estemporanea a queste altre culture quando persino della propria non si conosce granché, se non gli aspetti più superficiali mostrati dall’abitudine, quanto si vive quasi automaticamente. Ricordo un discorso che ci fece, anni fa all’università, una professoressa di letterature comparate. Diceva che è importante conoscere la letteratura del proprio paese, prima di addentrarsi in quelle altrui. Se c’è carenza già in quanto dovrebbe esserci proprio, come si può voler dimostrare competenza in quanto invece è altro da noi, e che quindi presuppone un gradino di difficoltà in più, quel dover cercare di andare oltre la tentazione di un punto di vista che è quello della nostra cultura, e forse non un nostro personale ragionare e analizzare, che potrebbe invece farci comprendere le cose per quello che sono? Se non riconosco quel punto di vista e quel modo di ragionare, come faccio a rendermi conto che sto analizzando qualcosa solo attraverso tale modalità, perdendomi i veri aspetti della questione, che richiede altri passi e strumenti? Rischio per assurdo anche di non cogliere del tutto gli aspetti in comune alle diverse culture, le loro connessioni, influenze, risposte e riflessioni su temi universali. Dal particolare infatti si giunge all’universale, e se dei tanti particolari mi perdo un pezzo, non godrò appieno dell’universale.
Si tratta di un argomento molto vasto, aperto a molteplici riflessioni, e piuttosto affascinante, perché di quel mistero che solitamente si tende ad attribuire ad alcune culture in particolare – e che spesso tali culture amano sottolineare, creando per svariati motivi una certa visione che ritengono gli altri dovrebbero avere di loro – ammanta qualsiasi cultura. C’è una tale vastità di cose da conoscere, anche di quanto accade o è accaduto sotto al proprio naso, da far sembrare sempre pochissimo il tempo a disposizione per avere davvero una visione anche solo un po’ più completa del mondo. Ogni cosa si intreccia, e ad ogni nuova scoperta si ha un quadro sempre più chiaro, si devono rivedere opinioni, si comprende un nuovo aspetto di quanto magari era stato trascurato perché si pensava di averlo già capito.
Di fondo, sempre, occorre studio, umiltà nell’accostarsi a quanto ancora non si conosce, e rispetto della complessità e molteplicità.