Cosa ti manca del Giappone?
Lista delle nostalgie, piccole immagini che sono appena dei tratti di pennello che così inconfondibilmente caratterizzano quello che è stato questo paese per me, e quello che nei miei sogni sarà, con sfumature sempre diverse. Eccole, in ordine sparso, un flusso di momenti e sensazioni che, oltre al desiderio, provocano anche un sorriso e riempiono di gratitudine per averle provate.
L’odore del miso. Le luci dei distributori automatici nel buio. I vagoni argento e verde della Yamanote. La luce trasparente e quasi cristallizzata nei giardini. Il profumo dell’incenso nei bracieri dei templi. Il rosso acceso dei torii. Le signore in kimono. I tombini dai disegni che omaggiano il luogo in cui ti trovi. I bento gustati sullo Shinkansen, mentre guardi il paesaggio scorrere oltre il finestrino. La calma nelle caffetterie dove le persone si trattengono nello studio o nel lavoro.
Il sentore di umido di certi localini dove viene servito il sushi. I cubetti di ghiaccio piccini che galleggiano nei bicchieri. Gli annunci sui binari e all’interno dei treni, con le loro musiche caratteristiche. Le file per mangiare nei locali noti per la bontà della loro specialità. La curiosità cortese negli occhi di alcune persone con cui ti trovi a scambiare qualche parola. Il suono della lingua giapponese. Le macchinette per ricaricare la Suica. I cestini sotto le sedie nei locali per appoggiare la borsa. La selva di grattacieli di certe zone di Tokyo.
I fili elettrici a grappoli che disegnano il cielo. I suoni di qualche cerimonia che si sta svolgendo dentro un santuario. Il mare e le coste che sembrano usciti da un dipinto. I tetti magnifici di templi e santuari. Gli omamori disposti in un caleidoscopio di colori per essere acquistati, in templi e santuari. Le vetrine colme di gadget. Gli attraversamenti pedonali e i rumori e luci dei semafori. Il gracchiare dei corvi il mattino presto. I dolci nei konbini. Le granite soffici ed impalpabili, che è quasi un peccato mangiare. Le ragazze in divisa scolastica. I campi da baseball in periferia. Gli argini dei fiumi con le persone che vi si rilassano. Le macchinette per ordinare il cibo fuori da alcuni locali, e i bigliettini che stampano, da presentare al cuoco.
Le luci delle città, nella notte. Le carpe nei laghetti, i loro colori sgargianti. Le bancarelle dei matsuri. Le volpi di pietra nei santuari di Inari. Le statue del Buddha nei templi. I bambù che ticchettano nella brezza, sfiorandosi tra loro. Il sapore del matcha. Le gallerie commerciali dall’aria un po’ retrò. Le mascotte delle città o dei castelli. La sensazione di fresco nel dover camminare senza scarpe in determinati luoghi, sentendo la resistenza dei pavimenti in legno o la morbidezza del tatami.
Il profumo di paglia del tatami. Le statue di Jizo decorate con berretti o bavaglini. Le fonti per purificarsi prima di accedere all’area sacra. La musichina del tardo pomeriggio che si spande per le città. Il monte Fuji che compare anche solo come un’ombra sul finestrino del treno. Le rocce circondate dalle corde che indicano il sacro. Gli alberi altissimi di certe foreste, nelle quali poi si snodano templi. Il silenzio sui mezzi pubblici. I sedili minuscoli degli autobus. Le washlet. I mucchi di bacchette dentro le scatoline o nei barattoli, da cui prendere il proprio paio. I ciliegi in fiore. Le scale mobili lunghissime ed altissime che sembrano non finire più. I vicoletti ingombri di piccoli locali. I sorrisi e la quieta gentilezza. I tornelli delle stazioni. Il cielo al crepuscolo.
I vecchi edifici di legno. Le verande aperte sugli scenari di sogno dei giardini. Le note di uno shamisen che provengono da un luogo nascosto, il vibrare così insolito di una canzone tradizionale. Frutta in mostra come gioielli. Le riproduzioni del cibo nelle vetrine dei ristoranti. Le ruote panoramiche illuminate. Le immense librerie. I banchi dei mercati del pesce. Le scalette ripidissime nei castelli. Le lanterne di pietra nei giardini e nei pressi di templi e santuari. I risciò. Il riso con il natto e l’alga nori. Le gru sopra i grattacieli in costruzione. Le vasche da bagno nelle camere degli hotel.
Il ramen di Hakata. Le file di torii nei santuari di Inari. I giardini di pietra nei templi. Le colline intorno ad alcune città, che alla sera sembrano sfumare piano insieme ai colori del cielo. La bellezza di volti che talvolta paiono di bambole. Le mille tipologie di KitKat. Le musiche assordanti ed assurde mentre cammini per Akihabara. Le strade e i binari sopraelevati. I takoyaki appena fatti, ustionanti. Le catene che servono il curry in miriadi di combinazioni. I matrimoni ai santuari. Le vesti di miko, sacerdoti e monaci. Le tavolette ema appese nei pressi dei santuari. I tabelloni con gli orari dei treni, le strisce per terra che indicano la fila. Le vie di negozi con oggettistica tradizionale lungo le vie principali per i templi.
I colori e le decorazioni che indicano le stagioni. la cura nel confezionare qualsiasi acquisto. Le luci delle lanterne di carta fuori dal locali. Un irasshai urlato con genuino entusiasmo quando entri in un locale. I santuari incastrati ovunque, che spuntano d’improvviso in un angolo del mercato coperto, o in una stradina, o sopra un palazzo. Il suono della campana legata alla corda scossa durante la visita al santuario. I paesaggi preziosi incorniciati da uno shoji aperto. La gratitudine nel momento in cui viene impresso il visto sul passaporto. Le pareti a graticcio e uno scorcio di un cortile interno nascosto nelle zone tradizionali.
Mari di ortensie dalle mille tonalità di rosa, viola, azzurro, bianco. Santuari celati nel cuore di grotte aperte sul mare. Cittadine sonnolente dove il tempo pare essersi fermato. I fiori di loto che punteggiano laghetti e stagni d’estate. Fuochi d’artificio lontani, all’orizzonte scorti durante un viaggio nel buio della sera. I panorami ammirati dalle finestre ai piani alti degli hotel.
Non è che una parte, quanto ho scritto, in un elenco spontaneo e personale.
Frammenti di Giappone, di viaggi, di gusti. In una giornata, in un periodo in cui sentivo che fosse necessario ricordare cose belle, che restano sempre tue, in ogni momento.