“Omote” indica il viso di una persona, ma significa al contempo la maschera. È la ‘faccia’ sociale, il comportamento codificato verso gli altri, è l’aspetto pubblico, ciò che può essere manifestato. Di un oggetto, è la superficie; di un luogo, “omote” indica la parte orientata al sole; di una casa, è il lato esterno, la zona dove si ricevono gli ospiti, dove si trattano gli affari. “Ura” invece è la parte nascosta delle cose e degli uomini; è l’interno, ciò che è dietro, la parte in ombra. “Oku” significa la profondità, il cuore delle cose, i recessi più bui, i pensieri più intimi, il limite ultimo.
Massimo Raveri “Itinerari nel sacro. L’esperienza religiosa giapponese.”
Stavo ripensando a questo passo letto diverso tempo fa. E come capita spesso, mi trovo a constatare come nel corso degli anni quanto apprendo pian piano della cultura giapponese si leghi e commenti al tempo stesso delle esperienze di vita e quanto da esse deriva, ovvero una diversa consapevolezza delle cose.
In tal senso, trovo profondamente vero il concetto della “maschera”, così comune a diverse culture, che in questo caso diviene la facciata sociale, quello che si può mostrare, e che la società più o meno si aspetta venga mostrato. Ognuno di noi ha un suo ruolo, volente o nolente. Anche quando siamo certi di essere completamente noi stessi in ogni situazione, in realtà stiamo mostrando la maschera che in quel momento quel particolare contesto richiede venga esposta. Non è necessariamente un concetto negativo, anche se la nostra cultura e il pensiero moderno vorrebbe esaltare sempre e comunque l’essere se stessi, il porre dinanzi a qualsiasi situazione la propria personalità in quanto si tratta di quello che ci rende unici. Ma il vivere in società non permette mai del tutto di farlo davvero come vorremmo credere. Per ovvi motivi, si devono tenere certi comportamenti quando ci si trova tra le altre persone, soprattutto se queste non fanno parte di quella che può essere la ristrettissima cerchia di chi invece ci conosce da sempre e ha visto spesso dietro la maschera, nell’Ura, giusto per fare riferimento alla citazione di cui sopra. Credo che invece conoscere e soprattutto avere accanto nella quotidianità qualcuno che conosca in parte anche il nostro “Oku” sia una di quelle circostanze della vita tanto rare quanto preziosissime, e comunque si tratta di un aspetto che forse nemmeno noi riusciamo a distinguere con consapevolezza piena, e richiede una vita di ricerca della propria interiorità. Inoltre, non è detto si vogliano conoscere davvero i propri “recessi più bui”.
Quindi la maschera è quello che ci permette di vivere con una certa tranquillità insieme agli altri. Ci consente di essere ritenute persone in grado di relazionarsi con l’esterno e le persone che lo popolano nel modo più equilibrato possibile, mettendo da parte tutti quei lati di carattere che potrebbero arrecare danno non solo a noi, ma anche all’armonia di un contesto. Lo vedo come uno smussare quella caparbietà che reca in sé dei lati egoistici, ovvero la volontà di prevalere con il proprio carattere anche quando di questo mosaico, quale ritengo sia la personalità di ognuno, spesso sono necessari solo alcuni tasselli.
Con l’avanzare degli anni, mi rendo conto che forse in tante situazioni mi sarebbe servito rifugiarmi dietro la maschera. Non come fuga, ma come strumento di difesa sia per me che per quanti mi erano accanto. E’ per questo che ora, prima di lasciar prevalere quanto fa parte invece del mio lato leggermente nascosto, mi domando se non sia meglio mettere la maschera. Che non è affatto porsi in modo falso o ambiguo, perché anche la nostra maschera è unica, ed è in realtà un lato di noi stessi. Non potremmo portare altra maschera, e non potremmo indossarla in un altro modo. Il nostro modo di essere traspare anche quando assumiamo un atteggiamento consono a quella che potrebbe essere la convenzione sociale percepita in un certo momento. Una persona arrogante e una persona gentile si distinguono anche quando portano la maschera.
Credo si tratti semplicemente di riconoscere che in un dato momento, in un dato contesto, quella è la cosa migliore da fare, perché mostrare il proprio lato nascosto non apporterebbe alcunché di positivo, anzi, potrebbe divenire il punto debole che mostriamo e può ritorcersi contro quando meno ce lo aspettiamo, o motivo di disagio per gli altri, anche senza che ce ne rendiamo immediatamente conto. Quel lato nascosto che ci rende preziosi a chi ci ama e che in chi amiamo riconosciamo come unico è appunto riservato ad altri momenti, ad altri luoghi ed altri spazi. Ad altre persone che non si limitano a frequentare gli spazi comuni riservati agli affari e agli ospiti.