Giappone e disinformazione

Giappone e disinformazione su quello che questo paese è veramente, su aspetti più o meno importanti che lo riguardano. Tendo a dimenticare spesso che sul Giappone c’è ancora tanta, tantissima disinformazione. Forse, essendo appassionata di questa cultura, ho assunto una visione un po’ sfalsata di quello che secondo me gli altri dovrebbero saperne. Di quel minimo sindacale che credo ognuno debba saperne, anche di qualcosa che non occupa costantemente i suoi pensieri. Invece, soprattutto negli ultimi tempi, quasi proprio a volermi ricordare che nulla va dato per scontato, mi sono imbattuta in una serie di pregiudizi e nozioni sbagliate che credevo davvero appartenessero al passato, a quando c’erano meno modi di informarsi e si ragionava per stereotipi.

Qui parlo di Giappone, ovviamente, quindi mi limito a fare considerazioni su come questo paese venga talvolta percepito in Italia. Si potrebbero fare esempi con molte altre culture, e anche parlare di come l’Italia venga fraintesa e raccontata attraverso luoghi comuni, anche nello stesso Giappone. Si tratterebbe però di un altro tipo di discorso, e questo articolo non tratta di questo.

Tornando alla disinformazione, qualche settimana fa ho sentito di gente convinta che le geisha siano semplici prostitute d’alto bordo, e che il loro lavoro implichi sempre la prestazione sessuale, alla fine dell’intrattenimento. Poi ci sono persone che quando scoprono che ti interessi di Giappone ridacchiano imitando le urla di Bruce Lee durante i combattimenti, per prenderti un po’ in giro. Poi vedi i giapponesi rappresentati con il cappellino a cono, la treccina, i dentoni e le frasi con la L al posto della R. Quest’ultima sciocchezza fa parte del grande gruppo di quelli che sentenziano, una volta colti in fallo o se devono esprimersi sull’Estremo Oriente “Cinesi, giapponesi, stessa cosa”. E di certo non intendono sottolineare che la cultura giapponese deve moltissimo alla Cina, si tratta di semplice ignoranza e superficialità. C’è inoltre la convinzione che in Giappone si mangi solo sushi dalla mattina alla sera (magari radioattivo, in questi ultimi anni), che il Fugu, ovvero il pericolosissimo (se non preparato adeguatamente) pesce palla si trovi comunemente sulle tavole dei giapponesi, che i monaci buddhisti siano dei monaci Shaolin che si riuniscono sotto alberi di ciliegio in fiore sulle cime dei dirupi per ascoltare il vecchio saggio di turno.

Questi pensieri o visioni vengono espressi da persone di diverse età e livello di istruzione con cui mi è capitato di avere a che fare, e vari tipi di media come televisione, fumetti e social. La cosa interessante è che ci sono poi anche i vari pregiudizi positivi, che non danno comunque una visione reale di una cultura. Di solito si accompagnano a concezioni errate che si trascinano dietro idee di molti anni fa. Il Giappone come una specie di paradiso, tecnologico e filosofico. Come se non si parlasse di un paese reale con problemi comuni a tutta l’umanità. Possono esserci modi diversi di affrontarli, questi problemi, possono esserci modi diversi di ritagliarselo, il paradiso, nella propria vita quotidiana. Non c’è un modo migliore o peggiore, c’è solo il risultato di complessi processi che hanno portato una certa cultura a considerare che quello poteva essere il suo modo. A noi può piacere o meno, trovarci d’accordo o meno. Come ho detto più volte, io trovo il modo di fare dei giapponesi molto simile a quello che io sarei di mio, con tutti gli aspetti positivi e negativi. Ma, essendo ognuno di noi parte di una cultura, non potremo mai avere occhi davvero oggettivi, perché filtriamo tutto attraverso le nostre radici.

Comunque, nonostante la possibilità di sapere le cose con poco sforzo, nonostante la scolarizzazione che dovrebbe essere più diffusa, nonostante l’età ancora giovane e il benessere, c’è ancora chi vede un paese come il Giappone attraverso specchi deformanti, e ne parla per stereotipi che sanno di molti anni fa.

Io credo e spero di non essere parte di alcun estremismo, quali possono essere il santificare il Giappone in tutto e per tutto e il demonizzarlo in tutto e per tutto. Amo profondamente questo paese, mi piace parlarne anche se spesso temo di parlarne, soprattutto quando colgo il leggero fastidio nelle persone convinte di qualcosa di inesatto o limitato, quando cerchi di fargli notare che no, non è come la pensano loro.  Sottolineo: correggere mantenendo un atteggiamento educato e gentile, non entrando a gamba tesa nella conversazione o con l’atteggiamento da fenomeno, come talvolta ho visto fare da altri. Comunque, la reazione offesa appare molto simile all’atteggiamento offeso dei condivisori di bufale sul web, che colti in fallo si difendono con i “Non si sa mai”, “Però potrebbe anche essere così, è verosimile”, o il sempreverde “Me l’ha detto mio cugino” seguito da “L’hanno detto in tv o su un documentario che ho visto”. E pensare che sarebbe così semplice dire che non si sa qualcosa. Io per prima ho ancora un’infinità di cose da imparare su questo paese.

Invito sempre ad essere critici, quando si legge o ci si imbatte in qualcosa che fa riferimento ad altre culture. Porsi domande, desiderare – se lo si vuole, ovviamente – saperne di più. Cosa doverosa tuttavia se si intende parlare a propria volta di qualcosa. Perché il vero problema è proprio quest’ultimo, e non tanto il legittimo ignorare qualcosa che magari non tange la nostra sfera di interessi (entro certi limiti: ad un certo punto per alcune cose si tratta di cultura generale). Il vero problema è diffondere disinformazione, radicare idee sbagliate nelle altre persone fino a farle diventare la prima cosa a cui pensano quando si parla di un certo paese. E quando lo si giudica.