Giappone pop e Giappone tradizionale

Giappone pop o Giappone tradizionale? In questi giorni mi sto trovando a riflettere su questa apparente opposizione, che mi sembra divida un po’ da sempre gli appassionati di Giappone. Non in modo drastico o senza possibilità di comprensione reciproca, sia chiaro, perché chi ama il Giappone sa che nel Giappone quotidiano e vissuto non c’è mai una suddivisione netta tra quello che appare come più moderno e caotico e quello che appare più legato ad ideali di armonia e tradizione. Non c’è tale suddivisione netta e precisa perché la commistione tra questi aspetti in Giappone è continua, e crea un suo insolito equilibrio che altrove non ho ancora ritrovato espresso nello stesso modo.

Quello su cui mi trovavo a riflettere è su come mi sembra vi sia tra chi del Giappone e della sua cultura vuole fare oggetto di studio ed indagine “serie” una sorta di ritrosia nell’occuparsi degli aspetti ritenuti più pop, se non per farne una sorta di nota a piè di pagina quando questi aspetti pop intervengono nell’influenzare la cultura “alta”. Sento ancora parlare molto poco di manga, ad esempio, al di fuori delle nicchie che si specializzano in tale aspetto della cultura giapponese, e che appunto a loro volta spesso non si focalizzano poi molto sugli aspetti legati invece a quanto è più tradizionale, se non come nota per spiegare perché nella trama appaiano certe cose o un certo personaggio abbia alcune caratteristiche che richiamano magari qualcosa di legato a storia o tradizione. Ad ognuno il suo insomma, e che non si sconfini troppo nel territorio dell’uno o dell’altro: o sei un letterato o sei un otaku.

Per spiegarmi ancora meglio, ho come l’impressione che chi vuole apparire come persona che si approccia al Giappone in modo serio si affretti spesso a specificare che non ha mai avuto a che fare con quello che riguarda anime e manga – grandi ambiti che della cultura pop vengono presi in un certo modo come simbolo, nonostante ci sia molto altro che la caratterizza – o che da bambino non ha mai visto i cartoni giapponesi, non ha mai letto manga, e che quindi non si è affatto avvicinato alla cultura giapponese per quello, bensì per altri suoi aspetti più “nobili” o profondi, più rappresentativi di un avvicinarsi dettato da impegno, studio e duro lavoro di volontà.

In questo modo chi invece al Giappone è arrivato attraverso la cultura pop viene – anche se non sempre esplicitamente –  ritenuto esempio di approccio più superficiale, legato all’immaginario ben lontano dalla realtà di quel Giappone da parco divertimenti e paradiso dei fissati di fumetti, cartoni e videogiochi. Come se tutti coloro che ne sanno di tali argomenti non potessero che restare sempre e solo esperti di quel settore perché non possono certo parlare di cose più serie come ad esempio la letteratura, che deve essere lasciata in mano a chi invece sempre e solo di quella si è occupato.

Notate bene che sto estremizzando le posizioni per cercare di spiegarmi meglio, anche se in passato, soprattutto in ambito universitario – io ho una laurea Specialistica in Lingue e Letterature Europee, Americane e Postcoloniali, ma per un certo periodo ho frequentato la biblioteca del dipartimento di Lingue Orientali della mia Ca’ Foscari – mi è capitato di sentire dai miei colleghi espressioni di sprezzo che invece sottolineavano un atteggiamento poco conciliante nei riguardi di chi veniva giudicato come qualcuno che volesse solo riuscire a leggere i manga o seguire gli anime in lingua originale. E non sto dicendo che effettivamente non esista anche tale fenomeno, ovvero che vi sia chi si approccia al Giappone per motivazioni che poi alla prova dei fatti e complessità di una cultura altra non reggono perché tengono conto solo di un unico aspetto che porta a travisare quanto è la realtà, ma quello che mi domando io è: non si rischia anche al contrario di concentrarsi solo su un unico aspetto che da solo non può definire del tutto una cultura? In entrambi i casi si perde molto e si rischia di non capire sfaccettature che potrebbero riflettersi l’una con l’altra e permettere di avere una visione più vicina a quanto è davvero un paese e la sua gente.

Il fatto è che mi accorgo che spesso argomenti culturali legati a storia o letteratura vengono trattati senza mai tenere in considerazione degli aspetti pop molto importanti che magari hanno fatto parte dello stesso contesto temporale, e che sicuramente possono aver influenzato anche quanto non si penserebbe abbia a che fare con questi. Sembra quasi vi sia una certa ritrosia nel dar loro troppa importanza, perché si rischia di apparire meno seri e degni di essere ritenuti degli esperti, se si dimostra anche solo un minimo interesse nei confronti di quanto sembra aver poco a che fare con quanto è più tradizionale. Invece non è così, a mio parere, perché il Giappone stesso non è così. Non ha barriere così nette tra modernità e tradizione, tra pop e cultura “seria”, come talvolta si potrebbe pensare.

Da persona che ama manga, videogiochi, giochi di ruolo, e che ama anche la letteratura, la storia e la tradizione, percepisco spesso con un po’ di dispiacere questo procedere spesso per sentieri paralleli che si incrociano poco e quasi con timore, se non con un lievissimo sprezzo o incomprensione. A ciascuno il suo, sembra si voglia dire. C’è l’appassionato di Giappone che è del tutto immerso nella bellezza della tradizione e dei grandi autori, e l’appassionato che si perde tra le vetrine di Akihabara e pensa che il Giappone sia tutto un paradiso stile anime. Non è così, perché io – e molti altri – restiamo per ore ad Akihabara a pensare a come riuscire a far stare l’ennesima action figure in valigia e al contempo ci incantiamo nel sentire il suono di una campana del tempio, ma non solo perché lo associamo a qualche cartone animato visto da piccoli.

Io cosa penso? Che a procedere per compartimenti stagni si perda la visione d’insieme, in ogni situazione e in ogni ambito. Le interconnessioni ci sono tra tutti gli aspetti della vita, dal più “alto” al più “basso”. Ovviamente esistono le proprie preferenze e le predisposizioni, ma ci sono cose che dovrebbero essere comunque ritenute cultura generale. Fingere che non esistano o che non abbiano alcuna influenza importante su quanto ci piace o con cui ci piace essere identificati non le rende meno solide o degne di essere considerate.