Ho perso le parole

Ho perso le parole

Eppure ce le avevo qua un attimo fa

Così canta Ligabue, in una sua famosa canzone. Ed è così che mi sento da un po’, in questi ultimi mesi. Cominci a scrivere, vuoi fare un’analisi del periodo, cercare di rendere oggettivo quanto vedi e senti e poi ti accorgi che non fai altro che esprimere rabbia e recriminazione. Leggi in giro quanto commentano le persone nei social, ti spaventi e ti fermi proprio quell’istante prima di finire a far parte dello stesso calderone di inutilità e urla di pancia. Cancelli tutto, cerchi di riflettere. E la risposta migliore ti sembra il silenzio, e il semplice agire senza dover dire o mostrare, comportandoti come la tua coscienza e il tuo senso di responsabilità ti hanno sempre suggerito. Affidi i tuoi sfoghi a pagine di carta e alla penna, oggetti privati sempre pazienti, tolleranti anche dei tuoi momenti peggiori. A rileggerti poi, ti accorgi di come quelle parole scaturite da fastidio, frustrazione e ansia siano sempre le stesse, che si avvolgono in una spirale senza uscita. Uno sfogarsi che non è raccontare, non è parlare. Non sono davvero parole che comunichino qualcosa, che costruiscano e riflettano, ma solo urla e lamenti. Ti rivedi e l’istinto è quello di prenderti un po’ in giro, e di cercare di migliorarti. E ringrazi per l’ennesima volta quelle pagine così tolleranti e dotate di quella delicatezza che permette di esporti solo a te stessa, riflettendo su come molti dei tuoi problemi abbiano origine proprio da te.

Ho perso le parole, quindi, e mi trovo a domandarmi che senso abbia continuare a cercarle, anche per parlare di quanto mi piace, di quanto mi fa stare bene. Mi domando cosa le persone abbiano bisogno di sentirsi dire, e se io abbia davvero voglia di cercare di dire loro qualcosa. Perché altra questione principale diventa proprio questa: scrivo per me, per un senso di narcisismo, oppure scrivo per rendere felici gli altri, per condividere e partecipare a quel guardare insieme il mondo e le esperienze che rende tutto molto più prezioso, che diventa sostegno nei momenti difficili e valore aggiunto nei momenti belli? Scrivo perché il cuore mi si allarga quando qualcuno mi ringrazia per aver dato voce a qualcosa che ha provato e che non aveva saputo descrivere, per le mie parole che hanno rievocato e fatto rivivere delle esperienze belle che quel qualcuno ha vissuto?

Ho perso le parole perché talvolta mi sembra che ci siano davvero moltissime altre persone che dicono già tutto, e che lo facciano in modo migliore di quanto possa fare io, con più autorevolezza, con più diritto di farlo, o semplicemente con risultati migliori nel farlo. Temo di risultare ridondante, o sento di dovermi fare da parte. Nonostante io sostenga la necessità di una molteplicità di voci, che permette anche di capire cosa davvero si abbia piacere di leggere ed ascoltare.

Ho perso le parole perché mi rendo conto di come sempre più il pubblico non abbia voglia di leggere un testo scritto, soprattutto se si snoda in più di qualche riga. Mi accorgo di come si preferiscano voce ed immagini, di come riceva talvolta più attenzione la persona in sé piuttosto che l’argomento di cui tale persona sta parlando. Forse molti hanno bisogno di trovare un riflesso, di immaginarsi una vita diversa cercando di sentirsi coinvolti nella vita di qualcun altro. E un po’ si perde quella bellezza di arrivare all’universale tramite il particolare, come accadeva nell’Ulisse di Joyce, dove raccontando momenti di una giornata di vari personaggi si raggiunge ogni aspetto dell’animo umano. Ci si incaglia forse con troppa facilità nel particolare che resta fine a sé stesso, poco più che un volersi fare i fatti degli altri.

Ho perso le parole perché a volte temo che per trovarle si sprechi tempo che dovrebbe essere invece impiegato per vivere e, per assurdo, per poterne trovare di migliori. Perché è un tale percorso fitto di esperienze, la vita, anche quando pare essersi rallentata per cause di forza maggiore, che quanto eri assolutamente convinto di voler dire diviene del tutto inadatto ad esprimere qualcosa di cui hai scoperto tanti lati differenti, nel frattempo. Magari bastava trattenere quella certezza arrogante di aver capito tutto di qualcosa, tanto da poterne parlare, per poter poi davvero rivelarsela prima a sé stessi, e poi farla scorgere anche agli altri.

Ho perso le parole perché è davvero difficile che arrivino a volte lontane come vorresti, e ti domandi che senso abbia che sempre meno persone riescano a vederle. Ti spaventa anche un po’ l’idea di far parte di un meccanismo che promette un senso momentaneo di inebriamento, salvo poi metterti da parte. Suggerendoti di provare altrove, dove altri paiono avere quell’ascolto e quel successo, suggerendoti anche di cambiare toni e modi, perché il pubblico vuole altro. E tu ti trovi a pensare che non vuoi un pubblico che scorre distratto le tue parole insieme a centomila altre, nel corso del giorno, ma che si fermi, respiri, e legga davvero quello che tu hai desiderato trasmettere. Altrimenti perché avresti scritto, perché avresti accarezzato a lungo una frase, cercando di capire se chi legge sentirà quanto volevi evocare?

Ho perso le parole, ed ogni giorno mi soffermo nel ricercarle, nello sceglierle, cercando di non lasciare che diventino solo qualcosa di indistinto, sballottato in un conflitto tutto interiore dove vengono ammantate di altro, che non permette loro di essere davvero vive. Cerco un’oggettività che le ceselli, in modo da poterle rendere sincere, libere dalle zavorre di quella soggettività che umanamente ognuno carica nel proprio riportare esperienze e sensazioni. Voglio siano capaci di riflettere in modo trasparente la straordinarietà del mondo e dei suoi innumerevoli aspetti, che prescinde dal singolo individuo quale io sono, così che possano diventare davvero di tutti. Voglio che siano mie, in quanto originatesi da me come persona, e dal mio vissuto, ma che io finisca per sparire, una volta che le lettere sono poste l’una dopo l’altra. E se restano solo loro, devono essere abbastanza forti e vere da poter camminare da sole.

Ho perso le parole, perché le amo troppo per tradirle rendendole qualcos’altro.

E forse, proprio rendendomene conto, le sto infine ritrovando.