Ho dei cassetti della memoria, dove ripongo tutto quello che è stato per poterlo guardare con calma anche in un futuro che ancora non conosco. Sono cassetti sia fisici che del tutto immaginari, spazi nella mente dove riposano le tante esperienze ed immagini che hanno fatto parte della mia vita, pronte a sbirciare e a far presente che ci sono state, e non hanno mai smesso di esserci.
I cassetti fisici sono vari spazi della mia casa, dove conservo diari, quaderni, biglietti di ingresso a musei e luoghi di interesse. Quei cassetti che tutti abbiamo, e che destiniamo a tanti diversi usi, tra i quali magari sistemare quello che non sappiamo bene dove mettere.
Un cassetto intero è dedicato al Giappone – poteva essere altrimenti?
L’ho riordinato poco tempo fa, e ho finito per trascorrere delle ore soffermandomi a guardare depliant e biglietti d’ingresso dei vari viaggi. Piegati e ripiegati, ognuno mi racconta non solo dei luoghi, ma anche di come li ho vissuti. Mi torna in mente il mio tenere in mano le brochure durante la visita, il lasciarmi guidare dalle stesse per comprendere meglio quanto sto visitando, per decidere poi infine di guardare soprattutto quello cho ho effettivamente intorno, e quindi cercare di piegarle ma non troppo, perché vorrò conservarle. Non sempre il buon proposito di non ridurle tutte a delle fisarmoniche trova seguito, soprattutto perché lo spazio in borse e zainetti è sempre quello che è, e talvolta finisco per schiacciare anche quello che avevo cercato di proteggere tra le pagine del quadernino dove ho scritto itinerari, orari, note per il viaggio. Durante il riordino stendo volantini piegati con poca grazia, mi soffermo su quei biglietti d’ingresso ai templi che sono talismani, e ricordo che all’epoca del mio primo viaggio non lo sapevo. Forse in questi anni mi hanno comunque offerto la loro silenziosa protezione. Quante cose ancora non sapevo del Giappone in quel 2013 che mi vide mettervi piede per la prima volta.
Divido pagine e pagine di carta colorata, patinata, immagini da cartolina che illustrano le bellezze di luoghi, biglietti con stampati giorni e ore in cui sei entrato in un museo, cercando di dare ordine agli anni. Finiscono spesso per confondersi l’uno con l’altro, ed allora torno ai miei quaderni di viaggio, che talvolta ho cercato di riscrivere, perché capita siano fatti anche di pezzi di carta scribacchiata in fretta durante un viaggio in treno o metropolitana. Negli anni, durante i giorni in Giappone, ho cominciato a riservare un momento per raccontarmi la giornata trascorsa. Mettendola in parole, durante le sere in hotel, tento di fissare l’impressione del momento e riempire i cassetti della memoria, non solo fisica, nel modo più fedele possibile a quello che è stato. Talvolta ho scritto durante notti insonni, quando il diverso ambiente ed orario mi rendevano impossibile continuare a dormire, e mi rifugiavo in bagno per non disturbare con la luce accesa mio marito che invece dormiva.
Dopo i primi viaggi ho anche messo da parte l’imbarazzo e cominciato a riempire i quaderni di timbri, quelli che si trovano ovunque nelle stazioni o nei luoghi d’interesse. Sarebbero pensati per i bambini, ma hanno finito per diventare, e non solo per me, parte del viaggio. E si fanno essi stessi ricordo di come mi sono piegata su un tavolino a misura di piccino, dentro un museo, per imprimerli su una pagina bianca, di come ho premuto troppo piano il timbro non ottenendo l’immagine ben definita, o non abbia intriso di abbastanza inchiostro la superficie sagomata, o abbia ottenuto l’immagine storta perché non ho fatto troppo caso al verso del timbro, e l’ansia di volerlo fare in fretta per cercare di passare tutto sommato inosservata mi ha fatto sbagliare.
I cassetti si aprono, quelli fisici insieme a quelli mentali, che collaborano con oggetti, parole e immagini per ricondurti a quell’attimo. Capita talvolta che ti colga di sorpresa qualcosa che avevi temporaneamente rimosso, privilegiando altri istanti. Capita che qualcosa ti ricordi una banalità che però mette in moto un domino di ricordi, finendo per essere tutt’altro che banale. E quante volte rileggendo quanto hai scritto trovi una risposta, magari anche a una questione del tutto quotidiana che si pone tempo dopo. Guardi la tua calligrafia e finisci per ricordare anche dove hai scritto qualcosa, e come in un’istantanea estratta da una scatola ricordi se eri seduta comodamente o eri un po’ scomoda, se eri arrabbiata o triste oppure placida e felice.
Così anche le foto, quelle di un tempo che occorreva tempo per sviluppare, che dietro ad ogni scatto avevano la consapevolezza che doveva riuscire bene, altrimenti sarebbe stato uno spreco. Quelle della posa e del conto alla rovescia per sorridere, che ho sempre trovato snervante. Quelle foto dai colori un po’ sbiaditi dove ti vedi crescere, dove gli abiti cambiano a seconda delle mode e degli anni, dove mi rendo conto di quando i miei genitori e nonni avevano l’età che ho ora, mentre scorro volti, sorrisi, ricorrenze. Bigliettini e cartoline scritte da chi magari fisicamente non c’è più.
E i cassetti della memoria si aprono l’uno dopo l’altro, con i loro profumi, voci, carezze. Torna tutto accanto a te perché non si è mai davvero allontanato, ogni cosa è custodita nel luogo più sicuro che ci sia, in quei cassetti che sono gli scomparti del tuo cuore.