Inizia Aprile, e da un po’ di tempo, da quando ho cominciato a considerare parte del mio quotidiano anche tanti lati di quanto è tipicamente parte della cultura giapponese, lo vedo un po’ come un altro inizio d’anno. Come molti di voi sapranno infatti aprile è in Giappone il mese degli inizi: dell’anno scolastico, dell’anno lavorativo per le aziende, periodo ideale in cui slanciarsi verso il nuovo, accompagnato idealmente dalla fioritura del ciliegi che così tra i tanti loro significati abbracciano anche questa idea di rinnovo. Tra me e me lo paragono un po’ a quello che è per noi settembre. Così mi riservo due inizi d’anno, oltre a quello naturale di gennaio: posso contare anche su aprile e settembre.
Io come al solito mi riprometto di fare un sacco di cose, di impormi abitudini che possano costruire qualcosa con il tempo e la pazienza, ma dentro di me non riesco mai del tutto a darmi chissà quale fiducia. Sei pigra, mi dico, sei estrosa e non ti piacciono imposizioni in quanto ritieni parte del piacere del tuo sacrosanto tempo libero.
E allora perché non prendere tutto con meno “devo” e con più naturalezza, in questo che è il mio spazio nella rete, in queste che sono stanze dove converso con degli ospiti tramite la scrittura? Perché non scrivere con più costanza spronandola grazie a una maggior libertà senza pormi troppo il problema che ogni volta dovrei fare quasi una sorta di mini trattato?
Vi scrivo quindi di quanto sta occupando in questo momento i miei pensieri, sempre con riguardo al Giappone.
Oggi è scomparso il grande compositore Ryūichi Sakamoto, e le note del suo indimenticabile brano, “Forbidden Colors” risuonano nella mia testa, a ricordarmi come per me il Giappone sia esattamente questo, quella sensazione di struggimento che pare afferrarti sin nelle viscere ad ogni nota di quella musica che nel mondo è divenuta quasi simbolo di tale cultura. Il Giappone è quello che nel corso degli anni le sue persone hanno espresso al resto del mondo nei loro molteplici modi, offrendo di tale paese e della sua cultura quella visione che non ti lascia mai certezze, ma solo meraviglia, voglia di saperne di più, di viverlo pur consapevole che non comprenderai mai cosa vi sia alla base della magia. Tradizione, innovazione, sperimentazione, commistione. Se ho imparato qualcosa in tanti anni di innamoramento vero e proprio del Giappone è che non smetterò mai di imparare qualcosa e che sarà sempre un continuo tendere la mano verso qualcosa che non potrò mai afferrare. La grandezza degli artisti come Sakamoto è proprio questa generosità nel donare agli altri sogni e richiamare nostalgie di mondi che nemmeno sapevi ti appartenessero, evocati da una perfetta successione di note che riempiono l’aria e arrivano dritte nell’animo. Una benedizione, quel condividere tramite il talento e la grazia dell’esprimerlo qualcosa che può spingere altre vite verso l’inizio di qualcosa, o semplicemente farle librarsi per meravigliosi attimi oltre i propri confini.
Per questo ringrazio costantemente gli artisti, quale che sia il loro modo di fare arte. Persone che hanno seguito e coltivato quello slancio verso la bellezza e il comunicarla all’altro, e hanno dedicato la propria vita a rendere migliore la vita di tutti. Un vero e proprio dono di sé.