Isao Takahata

Una fanciulla, non ancora donna eppure non più bambina, si lascia trasportare dalla gioia e pare danzare insieme ai petali di ciliegio che cadono, avvolta in un sontuoso kimono troppo grande per lei.

Nella notte grigia e tranquilla di una cittadina del Giappone moderno, strani suoni e bagliori cominciano ad animare le strade, dove inizia a snodarsi una parata di yokai, bellissima, inquietante e soffusa di nostalgia.

Un ragazzo osserva impotente il corpo emaciato di una bimba che non riesce nemmeno più a parlare, la sorellina che si rende improvvisamente conto di non riuscire a salvare dagli stenti, conseguenze di una guerra che ha portato via loro ogni cosa.

Una bambina dalle guance rosee dopo una corsa a perdifiato tra i declivi si lascia cadere ebbra di felicità su un prato, osservando le nuvole correre in un cielo azzurro incastonato tra cime di montagne.

Queste sono solo alcune tra le immagini che sono riemerse nella mia mente quando, ieri sera, ho appreso della scomparsa di Isao Takahata, il regista giapponese che ci ha regalato opere come la serie animata di Heidi (1974), probabilmente la sua opera più conosciuta e famosa qui in Italia. Nel 1985, insieme a Hayao Miyazaki, fonda lo Studio Ghibli, ed inizia una storia di capolavori dell’animazione. Isao Takahata è a mio parere molto diverso da Miyazaki, pur condividendone la visione: le sue opere talvolta sono più complesse dal punto di vista della riconoscibilità immediata dei contenuti, perché strettamente legate all’immaginario e alla vita quotidiana giapponese.

Penso a film come Pom Poko (1994), in cui un gruppo di tanuki cerca di ribellarsi in ogni modo all’avanzata degli esseri umani che stanno distruggendo la natura in cui queste creature vivono, o a I miei vicini Yamada (1999), in cui si seguono le vicende semiserie di una famigliola giapponese nella sua vita quotidiana. Pur essendo godibili da parte di tutti, spesso si rischia di non coglierne molti particolari e citazioni, se non si conoscono cultura o folklore giapponesi.

Takahata inoltre, con opere come Una tomba per le lucciole (1988), mostrò direttamente l’orrore della guerra e delle sue conseguenze sulla popolazione, senza farle semplicemente intuire dai discorsi o da suggerimenti dati dal contesto. Tutt’ora quest’opera resta l’esempio che no, l’animazione non è solo intrattenimento per bambini, ma può essere declinata nei toni più vari, compresa la tragedia universale. Ne La storia della principessa splendente (2013), opera che richiese molti anni di lavorazione e che rielabora il classico Racconto di un tagliabambù e le vicende dalla Principessa Kaguyahime, Takahata riesce a dare forma ad una narrazione quasi onirica e pittorica, come se antiche raffigurazioni prendessero vita e vivacità. In altre opere come Pioggia di ricordi (1991) si racconta di una giovane donna e del ritrovarsi a camminare insieme ai propri ricordi di infanzia, completando ed accettando se stessi per continuare la propria storia.

Ho voluto ricordare Isao Takahata attraverso le sue opere che ho amato. Con gratitudine e con la convinzione che i grandi artisti sono davvero come le stelle: anche quando non esistono più, la loro luce continua ad arrivare ad illuminarci gli occhi per tanto, tanto tempo.