La buca – Hiroko Oyamada

La buca di Hiroko Oyamada è stata una delle mie letture di questo fine settimana appena passato. Si tratta del primo romanzo che leggo di questa autrice, che in Italia è conosciuta già per un suo romanzo precedente, La fabbrica, nel quale trasfigura tramite la lente della letteratura la sua esperienza lavorativa presso una fabbrica di automobili.

A distanza di qualche giorno non so ancora con precisione se questo libro mi sia piaciuto o no. Forse non aveva esattamente l’intento di piacere, bensì di parlare della condizione femminile, tramite una grande metafora, condita di un’atmosfera surreale dove ad un certo punto non ti rendi più ben conto di cosa sia vero e cosa no. Come la protagonista, cominci ad essere avvolto dall’ambiente disturbante di una sonnolenta cittadina di provincia immersa in una feroce calura estiva, dove il canto delle cicale assorda e l’unica attrazione pare essere il supermercato in cui fare la spesa.

La protagonista, Asa, è una giovane donna che per motivi logistici legati alla maggior facilità per il marito di raggiungere l’ufficio, accetta – più che decidere – di trasferirsi nella casa accanto a quella dei genitori di lui, in un paese della stessa prefettura ma che appare tutto un altro mondo, per isolamento e poche opportunità. Asa è una precaria, non ama particolarmente il proprio lavoro in cui lei e le altre precarie devono sobbarcarsi il carico di lavoro delle persone a tempo indeterminato che non si fanno problemi a restare spesso assenti, quindi quando abbandona il proprio lavoro non ha particolari rimpianti. Oltretutto i genitori del marito non vogliono alcun pagamento per l’affitto della casa, il che permetterà alla coppia di non accusare poi tanto il contraccolpo delle mancate entrate della giovane.

Sin dall’inizio tutto appare come discostato di quel tanto che basta per far percepire al lettore che qualcosa non torna, c’è una sensazione di disagio che si prova quasi insieme alla protagonista. Asa ad esempio non riesce a ricordare assolutamente la casa in cui dovrà andare a vivere, pur essendo stata già diverse volte in visita presso i suoceri. Ben presto la ragazza, sola per tutto il giorno – i suoceri lavorano e l’anziano nonno presente nella loro casa non le rivolge la parola e passa tutto il tempo ad innaffiare il giardino – comincia a sentire il peso di giornate del tutto vuote e che tuttavia scorrono veloci, dove nemmeno le attività che potrebbero riempire il suo tempo libero paiono darle modo di sentirsi soddisfatta o rilassata, dato che prova senso di colpa per il fatto di non guadagnare nulla. Ed ecco che in questa routine fatta di crescente apatia, lungo il fiume malsano che scorre accanto a casa compare in un pomeriggio di sole accecante uno strano animale, e seguendolo Asa cade dentro una buca – una delle tante che a quanto pare si trovano in abbondanza nei dintorni e nello stesso giardino della casa in cui Asa e il marito sono andati a vivere. Si potrebbe pensare ad Alice che si ritrova ad attraversare il Paese delle Meraviglie, tuttavia la realtà per Asa parrebbe restare sostanzialmente la stessa, se non fosse per continui dettagli che iniziano a turbare le sue giornate e la fanno dubitare di quanto sa e ha conosciuto sino a quel momento.

Compaiono strani personaggi, gente che non si riesce mai a capire se esista davvero oppure no, persone che Asa incontra e che la spingono ad interrogarsi sui comportamenti incomprensibili che sembrano manifestarsi solo dinanzi a lei. Tutto continua a svolgersi in questa atmosfera piena di dubbio, onirica e disturbante.

Appare abbastanza chiara la metafora delle buche in cui Asa si ritrova come piantata, con solo la possibilità di sbirciare poco oltre l’altezza degli occhi. Difficile non riscontrarvi la condizione del vivere odierno in cui ci si intrappola talvolta volontariamente e che pare non offrire vie di uscita, pur lasciando scorgere quello che ci sarebbe appena oltre. Anzi, la via di uscita, proprio perché la si vede, si potrebbe raggiungere facilmente, ma non è detto si abbiano forza e volontà, in certi momenti, per issarsi sulle braccia e tirarsi fuori dalla buca. Al tempo stesso, la buca permette di scoprire una visuale del tutto diversa del mondo, osservato a livello del terreno da una prospettiva insolita che normalmente non si va a ricercare.

Una lettura che lascia spesso spiazzati, il cui tema principale credo sia la condizione delle donne nella società contemporanea, il loro ruolo nel mondo del lavoro, nella vita di coppia, nel trovare una propria dimensione e reale soddisfazione nelle scelte che sono portate a compiere. Un tema che si percepisce e sente, tra i vari scenari stranianti offerti dalla narrazione, un misto di assoluta normalità e improvvisa stranezza.

La buca, di Hiroko Oyamada (titolo originale: Asa), traduzione di Gianluca Coci, Neri Pozza Editore.