La storia di Genji – Lettura e rilettura

Qualche giorno fa ho terminato la rilettura de La storia di Genji, la grande opera di Murasaki Shikibu scritta presumibilmente tra il 1008 e il 1010, considerata spesso come il primo vero e proprio romanzo che prevedesse un’introspezione psicologica dei personaggi di una certa complessità.

Il romanzo descrive la vita e soprattutto gli amori di Hikaru Genji, lo Splendente, figlio di un imperatore ma impossibilitato a salire sul trono per via dello status non abbastanza elevato della madre. Genji è la personificazione della raffinatezza e della bellezza, amante incomparabile alla continua ricerca dell’ideale. L’ambientazione è quella dell’epoca Heian (che andò dal 794 al 1185), e gli ambienti in cui si muovono i vari personaggi spaziano tra la corte imperiale di Heian-kyō (antico nome di Kyoto) e zone più o meno limitrofe, come Suma, luogo in cui Genji è costretto a trascorrere un periodo di esilio, e Uji, teatro degli ultimi capitoli che vedono protagonisti giovani della generazione successiva.

Una rilettura , dicevo, che si è rivelata decisamente più piacevole rispetto alla prima volta, che risale a più di un decennio fa, ed è stata anche più scorrevole di quanto pensassi, dato che avevo il ricordo di una lettura piuttosto ostica. Merito sicuramente dell’edizione, che in questo caso è quella con traduzione e cura di Maria Teresa Orsi, ma anche di una maggior consapevolezza del contesto da parte mia. Dal primo incontro con questo libro, in un’edizione tradotta dall’inglese e che mancava dei capitoli finali, ci sono stati nel frattempo anni di letture sul Giappone in generale e sul periodo Heain, c’è stato il Giappone vero e proprio e la bellezza di poter immaginare in modo più vivido uno sfondo per certe parti del romanzo (durante la lettura dei capitoli di Uji non potevo fare a meno di pensare al fiume e alle colline che i miei stessi occhi hanno visto, per quanto possano essere cambiati dall’epoca). Inoltre, ci sono stati anni di vita ed esperienze come persona e come donna. Non ho lo stesso sguardo sulle cose che potevo avere una decina di anni fa, al mio modo di intendere la realtà si sono aggiunte molte sfumature. E dal momento che quest’opera è come un grande dipinto, dove tutte le varie fasi della vita vengono prima o poi mostrate con il loro carico di gioie e dolori, è inevitabile provare sintonia con certi pensieri e momenti vissuti dai personaggi, per un sentire comune ad ogni essere umano.

Si parla spesso della modernità de La storia di Genji, perché molte dinamiche nei rapporti interpersonali e molte delle riflessioni dei vari personaggi possono sembrare appartenere alla nostra contemporaneità, o dare conferma che le persone nel loro intimo sono in fondo sempre uguali, da secoli e secoli. 

Molto affascinante, e vicina ad una sensibilità moderna di un certo tipo, può sembrare anche la pervasiva presenza, lungo tutto il romanzo, di quella tematica del “mono no aware”, espressione quasi intraducibile e ormai famosa quando si parla di cultura giapponese. Può essere descritta come il senso dell’impermanenza delle cose, suscitato spesso da momenti o spettacoli di particolare bellezza, sentimento che causa una sorta di malinconico incanto, che anche noi persone del XXI secolo riusciamo a cogliere e comprendere.

Anche la tematica della stanchezza, e del desiderio di ritirarsi dalla vita pubblica e soggetta alle passioni e ai doveri imposti del mondo – che spesso proprio la consapevolezza della fragilità ed impermanenza delle cose provoca nei protagonisti del romanzo – arriva molto chiaramente ancora oggi, nonostante il suo essere legata piuttosto specificatamente alla religione buddhista e a come veniva vissuta all’epoca, e quindi in apparenza più specifica che universale. 

Ci sono poi le protagoniste femminili, vero e proprio motore immobile dell’intera opera, che indugiano in considerazioni sulla propria condizione, sui rapporti con gli altri e sull’immagine di loro stesse che appare all’esterno, cosa che le rende estremamente attuali e consapevoli della complessità del proprio posto e ruolo in quanto donne. Rispetto alla prima lettura de La storia di Genji, questa volta sono state proprio le donne del romanzo a incantarmi ed interessarmi, a farmi sentire partecipe dei loro problemi e tormenti. Si dice (anche nell’introduzione a questa edizione) che l’autrice potrebbe aver voluto declinare i diversi aspetti del proprio carattere e delle proprie inclinazioni nelle varie donne che compaiono durante il romanzo. Appaiono in effetti molti tipi di donna, per quanto in generale i comportamenti consentiti da epoca e contesto possano farle apparire molto simili nel loro agire. La vera differenza tra l’una e l’altra risiede sempre nel mondo interiore di ciascuna.

Nel leggere La storia di Genji bisogna sempre tenere conto proprio del contesto: siamo nel Giappone del periodo Heian, in ambienti di corte o nobiliari. Un microcosmo con una specificità tutta sua, con le sue regole e delle abitudini per quanto riguarda il rapporto tra sessi spesso molto lontane da noi. Una tra tutte, la possibilità per l’uomo di avere, oltre alla moglie principale, altre concubine ufficiali e amanti varie. E l’idea che sarebbe strano e poco raffinato, o caratteristica di una persona in odore di santità, essere fedele ad un’unica donna, anche se a quanto pare a tutto c’è un limite, e spesso proprio Genji viene criticato come incorreggibile ed esagerato persino dagli uomini del suo seguito, vista la sua incapacità di trattenersi dal corteggiare praticamente ogni donna di cui senta anche solo parlare.

Se possiamo simpatizzare per i moti dell’animo dei protagonisti e condividerne i pensieri, possiamo comprendere invece molto meno – e nel mio caso, direi proprio, detestare – il modo in cui viene inteso il rapporto amoroso, dove l’uomo pare autorizzato in un modo o nell’altro ad ottenere quello che vuole, avendo magari anche il coraggio di dimostrarsi offeso e criticare l’educazione di una donna se questa tenta di respingerlo. Ammetto di aver provato una certa soddisfazione quando vi era un personaggio femminile che di Genji proprio non voleva saperne, e che riusciva nell’intento di non concedergli l’intimità.

Tutto è ovviamente da leggersi come tipico di un’epoca e di un contesto, ma le sofferenze e i tormenti provocati dal modo di agire dei vari uomini con cui le donne si relazionano lasciano intendere che il fatto che qualcosa sia consuetudine, o creduto forse conseguenza di un legame che si trascina da qualche vita precedente, non rende certo meno profondi la tristezza, il disagio e l’incertezza per chi deve subire. Così come non mette al riparo dalla gelosia, dall’umiliazione e dal senso di impotenza.

La storia di Genji è una lettura per tutti?

Voglio essere onesta, anche perché non mi sento, da parte mia, di consigliare qualcosa senza alcuna avvertenza circa quanto aspettarsi, rischiando magari di spingere verso un’esperienza negativa che porti ad abbandonare un libro dopo un po’ di pagine, e ad averne una brutta impressione.

La storia di Genji è un romanzo appassionante, ricco di un’incredibile finezza psicologica per quanto riguarda il tratteggio dei personaggi e delle loro relazioni, modernissimo nell’indagare i moti dell’animo umano. Un viaggio affascinante che racconta di un mondo di penombre, paraventi, giardini e cortine che celano donne avvolte nei numerosi strati delle loro vesti, donne di cui non si vede neppure il volto e di cui si insegue il fascino rivelato dalla calligrafia, dal modo di rispondere ad una lettera, dal gusto nel sovrapporre i colori delle vesti, dalla voce quando è possibile parlare loro direttamente e non per interposta persona. Un mondo di profumi, di chiome che possono divenire strascico o indicare la scelta di una vita ritirata dal mondo, di lineamenti che si scoprono solo nell’intimità, di musica struggente e notti dove nessuno sembra mai dormire del tutto.

Si resta avvinti dalla continua presenza della natura, con le sue stagioni e i suoi paesaggi sempre diversi nelle varie ore del giorno, natura che diviene occasione e specchio per comprendere e commentare i diversi momenti e aspetti della vita. La luna, la rugiada, la neve, il mare, la foschia. Nel leggere questo libro si accumula nel cuore un tesoro di immagini suggestive e meravigliose.

L’opera offre una finestra dalla visuale inestimabile su un altro luogo e un altro tempo, che viene riportato in vita come se vedessimo muovere tutti i suoi protagonisti davanti ai nostri occhi, anzi, pare talvolta di essere proprio lì, in un angolo un po’ nascosto della stanza, ad osservare e ascoltare sussurri di promesse d’amore e fruscii di vesti.

Quali sono dunque le avvertenze, se già quanto descritto qui sopra potrebbe bastare per considerare La storia di Genji il capolavoro che è, e per motivare una lettura?

Non è un testo facile. Non tanto per la mole considerevole, quanto per la specificità dell’ambientazione che porta con sé alcuni aspetti che possono rendere meno scorrevole la lettura. Faccio un esempio. I personaggi non vengono praticamente mai chiamati per nome, bensì con il loro titolo e la loro posizione a corte, oppure con il nome del luogo in cui si trovano a vivere per la maggior parte del tempo, o con un’espressione poetica che è stata usata magari in passato per descriverli. Per alcuni di essi, soprattutto – ma non esclusivamente – per quanto riguarda gli uomini e le loro posizioni a corte, il titolo cambia spesso nel corso nella narrazione o addirittura all’interno dello stesso capitolo.

All’inizio di ogni capitolo, proprio per aiutare a districarsi tra i vari appellativi, viene fatto un elenco dei personaggi che compariranno, con il relativo modo in cui vengono chiamati, e nel corpo del capitolo stesso vi sono note che spiegano di chi si stia parlando se in alcuni casi non appare chiaro proprio per via del testo. Talvolta – voglio rassicurare tuttavia che capita abbastanza raramente – appare anche difficile capire chi stia parlando perché ci si imbatte quasi in una sorta di flusso di coscienza.

L’apparato di note e il glossario, che si trovano alla fine del libro, sono in tal senso strumento utilissimo, di grande supporto durante la lettura. Anche l’introduzione è interessante e offre una panoramica dell’opera, della sua storia e di quanto abbia significato per la letteratura, e di come sia stata trasposta in tanti altri media, continuando ad affascinare e a rivelare nuovi aspetti.

Poi, tornando a quanto potrebbe apparire un po’ ostico, la narrazione è costellata di poesie e citazioni, che sono vero e proprio strumento di comunicazione tra i personaggi, per celebrare occasioni, per trasmettere uno stato d’animo, per dialogare ed instaurare rapporti, oltre che per dimostrare la propria raffinatezza, che traspare dalla scelta della carta per scrivere, dalla calligrafia e dall’acume nel sapere trovare per ogni occasione le parole più adatte e meno banali. Anche qui, le note sono di supporto perché gran parte di queste brevi poesie e le citazioni si rifanno ad immagini mutuate da altre opere letterarie giapponesi o cinesi, o fanno riferimento ad usi e costumi particolari, con espressioni anche solo accennate che per chi sa intenderle richiamano immediatamente l’opera di origine, e con essa quanto si intende quindi esprimere utilizzando tali espressioni ed immagini.

Questi componimenti poetici possono essere letti senza interrompersi per andare a controllare l’eventuale nota, anche perché sono belli e gradevoli di per sé, e si potrebbe anche proseguire nella lettura senza andare a controllare la nota di riferimento indicata in corrispondenza di una frase che appare casuale e invece racchiude una citazione, ma si perderebbe parte del significato e di quanto il personaggio sta davvero cercando di comunicare.

Quindi, mi si potrebbe chiedere, per leggere La storia di Genji occorre essere degli esperti dell’epoca Heian o di poesia? No, non occorre avere tali conoscenze per leggerlo, ma un approfondimento circa il contesto, prima della lettura, renderebbe la stessa sicuramente più godibile e consapevole. Come dicevo, a me è piaciuto molto di più ora che l’ho riletto dopo tanti anni e con molte cose in più apprese. Mano a mano che, nel corso del tempo, scoprivo i vari aspetti dell’epoca Heian, mi rendevo conto che nel 2008 mi ero persa parecchie sfaccettature di quest’opera, e che forse questa meritava una rilettura proprio per darle occasione di potermi trasmettere nel modo migliore quanto intendeva.

Questa è stata la mia personale esperienza, quindi non ha valenza assoluta, ma è soggettiva, così come le mie considerazioni sull’opera. Nulla vieta di leggere La storia di Genji senza avere una base specifica, anzi, potrebbe anche rivelarsi per alcuni la molla per approfondire il contesto e scoprire l’amore per il Giappone.

Di seguito vi lascio un piccolo elenco di testi che, nel corso degli anni, mi hanno accompagnata verso questa rilettura, e che consiglio anche come eventuale approfondimento successivo ad una lettura dell’opera, per saperne di più, per trovare ulteriori motivi per leggerlo, o semplicemente per indugiare ancora un po’ nelle sue atmosfere uniche.

Il mondo del Principe Splendente, di Ivan Morris, traduzione di Adelphi Edizioni

The tale of Murasaki, di Liza Dalby, Anchor – ne trovate anche una recensione nel blog, qui

Diario di Murasaki Shikibu, Murasaki Shikibu nikki, a cura di Carolina Negri, Marsilio Editore

Diario di Izumi Shikibu, Izumi Shikibu nikki, a cura di Carolina Negri, Marsilio Editore

Note del guanciale, di Sei Shonagon, a cura di Lydia Origlia, Casa Editrice SE

Le memorie della dama di Sarashina, Sarashina nikki, a cura di Carolina Negri, Marsilio Editore

Tosa Nikki, di Ki no Tsurayuki, a cura di Simona Vignali, Libreria Editrice Cafoscarina

I racconti di Ise, a cura di Andrea Maurizi, Marsilio Editore

Storia di Ochikubo, a cura di Andrea Maurizi, Marsilio Editore

Le concubine floreali, a cura di Yoko Kubota, Marsilio Editore

Namamiko, l’inganno delle sciamane, di Fumiko Enchi, traduzione di Paola Scrolavezza, Safarà Editore

Maschere di donna, di Fumiko Enchi, traduzione di Graziana Canova Tura, Marsilio Editore