Le risate dei bambini

Kumamoto, estate 2017. Dopo la visita al parco intorno al castello, che è ancora sottoposto ai lavori di ristrutturazione dopo i danni subiti nel terremoto del Kyushu del 2016, prendiamo l’autobus per tornare verso la stazione. Circa due ore prima, quando siamo arrivati dopo aver preso il treno da Nagasaki, un acquazzone di quelli potenti ci ha costretti ad attendere che il temporale si calmasse un poco. È stato un regalo inaspettato che la pioggia smettesse giusto il tempo per fare tutto il nostro giro.

Proprio mentre saliamo sull’autobus, ricomincia a cadere una pioggerella leggera. Prendiamo posto sui sedili del bus, di quelli che danno le spalle ai finestrini. Alla mia sinistra sono sedute due bambine, avranno cinque o sei anni. Sembrano delle piccole kokeshi con i codini, e paiono tutte felici di essere sul bus. Una delle due è chiaramente la sorella maggiore, lo si intuisce sia perché è più grande, sia per l’atteggiamento deciso e didascalico con cui si rivolge alla più piccola. Davanti c’è la madre, che le sorveglia con espressione pacata. Quasi subito le due piccole iniziano a cantare una canzoncina, accompagnando alle loro voci melodiose dei gesti delle manine paffute. La canzone, delle cui parole distinguo solo i numeri, si ripete ancora e ancora, sino a che mi pare quasi di averla imparata. Le bambine interrompono ogni tanto la loro cantilena con delle risate, coprendosi le bocche in cui mancano un po’ di dentini con le mani. Ma sono gli occhi luminosi a ridere più forte delle loro voci.

Ad un’altra fermata sale una giovane coppia con un bambino tenuto dalla madre sulla schiena, dentro un marsupio. Dato che non ci sono posti a sedere liberi, mio marito fa per alzarsi, invitando la giovane a sedersi, ma lei rifiuta ringraziando e facendoci capire che tanto scenderanno quasi subito. Anche il marito ringrazia. Il bambino intanto comincia a piangere e strillare. Poi, non appena per caso rivolge lo sguardo verso mio marito, che siede a poca distanza da lui, ammutolisce e lo fissa serio, con i suoi occhioni nero inchiostro. Mio marito gli sorride, e poco dopo distoglie lo sguardo per dirmi qualcosa. Il bambino ricomincia a strillare. Nuovo incrocio di sguardi, di nuovo il piccolo tace, pensieroso. La cosa va avanti in tal modo per un po’, in una scenetta quasi comica, tanto che anche i due genitori si mettono a ridere. Infine, anche il bambino ride contento.

Durante i nostri viaggi ci è capitato spesso di vedere bambini, in diversi contesti. Dai piccolini dell’asilo con cappellino giallo portati in giro su una sorta di carrettino di legno dall’educatrice cui erano affidati ai bambini sui sette/otto anni che giravano soli con i loro zainetti nei labirinti delle stazioni di Tokyo. Dai bambini seri ed educati, che leggevano un libretto o disegnavano mentre stavano seduti ai tavoli nei locali insieme ai genitori, ai bambini che invece i genitori li facevano ammattire, urlando e facendo capricci. Dalla bambina vestita di un kimono fiorito durante un matrimonio, fierissima e sorridente nel sentirsi bella ed ammirata, ai bambini che abbracciavano felici una mascotte all’aeroporto. E molti altri, fotografie nella memoria.Tuttavia, mi sono rimasti impressi questi tre bambini incontrati per un momento in un autobus a Kumamoto. Le loro risate divertite e tranquille, la serenità in cui era palese si sentissero immersi dovrebbe essere condizione comune di tutti i bambini.