Murata Sayaka è un’autrice nata nel 1979 le cui opere sono state tradotte in Italia da edizioni E/O. L’opera che l’ha fatta conoscere anche qui da noi è stata La ragazza del Convenience store, con la quale nel 2016 ha vinto in patria il prestigioso premio Akutagawa, ma aveva ottenuto ancor prima vari riconoscimenti per altre sue opere. Il romanzo viene descritto spesso come fosse giocoso e un po’ sognante, mentre invece tratta di tematiche piuttosto importanti e mette in luce alcuni aspetti inquietanti della realtà, filtrati attraverso l’esperienza del personaggio principale, una donna che, in un’età in cui la società la vorrebbe impegnata in un lavoro “serio” e non di ripiego come viene considerato il lavoro in uno dei tipici minimarket aperti 24 ore su 24, persiste invece nelle sue convinzioni e nel suo amore per l’ambiente ideale che ha trovato proprio nel suo luogo di lavoro, microcosmo ordinato che la rassicura e le offre uno scopo.
La ragazza del Convenience store l’ho letto un po’ di tempo fa, non appena è stato edito in Italia: in questi giorni invece ho letto le altre due opere di Murata Sayaka, ovvero I terrestri e La cerimonia della vita – quest’ultimo è una raccolta di racconti. Tutti i romanzi di Murata presentano una grande tematica principale, che è il domandarsi cosa sia la normalità, in cosa consista veramente, se quanto viene considerato normale non sia solo una convenzione che non tiene conto di quanto invece sarebbe più logico e naturale per la vita di ognuno. Tutti i personaggi che si incontrano nelle sue opere sono costretti a fare i conti con una qualche anormalità rispetto a quanto la società mostra loro come standard di persona rispettabile, rispetto a quanto gli altri si aspettano per considerarli persone accettabili e non fonte di disagio o persino disgusto.
Ne I terrestri, questo tema principale si accompagna a quanto il deviare dalla norma possa dipendere talvolta da una normalità che è tale solo in apparenza, da quel buio in cui nessuno vuole guardare veramente che si nasconde sotto la facciata di una semplice famiglia, o di persone che piacciono a tutti. La protagonista, Natsuki, che racconta in prima persona le sue vicende, subisce pesanti abusi, sia fisici che psicologici, da parte degli adulti. Disprezzata e non ascoltata in famiglia, dove ognuno dei membri della stessa sfoga su di lei le proprie frustrazioni e il non riuscire a ritagliarsi il successo e l’ammirazione che vorrebbe nella società, manipolata e violata da chi ha un minimo di autorità su di lei e sa di poterla far passare per una bugiarda, la giovane protagonista si crea una realtà parallela in cui il suo peluche è in realtà un alieno di un pianeta lontano che l’ha scelta per la missione di salvare la Terra, dotandola di poteri magici, proprio come le maghette di anime e manga. Il suo segreto è condiviso solo con un cugino suo coetaneo, con il quale trascorre gli unici giorni sereni dell’anno presso la casa di montagna dei nonni, in occasione delle festività dell’O-bon, quando tutti i vari parenti si radunano. Ma anche questo compagno di fantasie e di tenerezze le verrà tolto, per le imposizioni degli adulti.
Questa prima parte del romanzo relativa all’infanzia, pur difficilissima a leggersi perché di violenza si parla, in un certo senso è ancora qualcosa che ci si aspetta, una storia toccante: si soffre, molto, per la protagonista, si vedono tutte le storture causate dalla sostanziale mancanza di amore e comprensione di cui è vittima . Nella parte successiva, che vede la protagonista adulta, comincia invece a insinuarsi nel lettore una profonda inquietudine: la protagonista infatti non è “cresciuta”, ma vive ancora più intensamente le proprie convinzioni infantili, anche se a queste si è mescolata ormai una certa rassegnazione, un desiderio di lasciarsi andare al sistema per poter finalmente non soffrire più rendendosi conto di non essere come tutti gli altri. Schermandosi con una normalità solo di superficie, per essere accettata in un qualche modo dalla società di cui vuole far parte per sopravvivere, pur trovandola una trappola – la “fabbrica”, come la chiama Natsuki -, una sorta di cumulo di nidi dove ognuno viene chiamato a produrre e a riprodursi. L’equilibrio pur precario che sembra raggiunto verrà poi disfatto, correndo verso una conclusione che vede una vera e propria discesa dove ogni limite viene oltrepassato. Ad un certo punto pare quasi di leggere un romanzo dell’orrore, con l’effetto ancora più straniante di continuare a sentire tutto raccontato nei minimi particolari in prima persona dalla protagonista, con il suo tono pacato e sensato.
Molte atmosfere presenti in questo romanzo sono riprese anche in alcuni dei racconti che fanno parte de La cerimonia della vita. Viene portato avanti il concetto dell’interrogarsi circa la normalità e, per opposizione, circa il suo contrario. Quanto è inaccettabile o tabù deriva da una qualche motivazione davvero valida oppure è solo consuetudine volta a qualche altro scopo? Se potessimo vedere tutto come osservatori esterni del tutto oggettivi, non influenzati dalle usanze umane, troveremmo il nostro modo di fare e pensare ancora logico e giusto? Murata Sayaka nelle sue opere riesce a svolgere i concetti più terrificanti grazie a un linguaggio scorrevole, semplice, con i pensieri dei personaggi che scivolano con una logica apparentemente ineccepibile, tanto da far interrogare il lettore insieme al personaggio, quando questo si pone delle vere e proprie domande sul perché qualcosa dovrebbe essere considerato più accettabile di altro.
I terrestri certo non è un libro per tutti: è bene leggerlo ben consapevoli che si trattano temi disturbanti e che lo scopo dell’autrice è mostrare quanto solitamente fa distogliere lo sguardo e ritirare anche solo il pensiero. Argomenti tabù, sempre inseriti nel contesto di contrapposizione ad una normalità di cui si vuole cercare di far parte oppure che si vuole rifiutare opponendole una propria logica che è specchio deformante di una naturalezza e un istinto che di per sé vengono considerati cosa buona. C’è poi fortemente presente il contrasto tra l’ambiente naturale e la città, il primo visto come una sorta di luogo dove è possibile vivere autenticamente, senza preoccuparsi delle sovrastrutture e delle imposizioni che invece mandano avanti la grande macchina degli agglomerati urbani.
Inutile sottolineare come Murata Sayaka, attraverso le sue opere e tramite l’estremizzazione di alcuni concetti, ponga in evidenza le storture e i difetti della società contemporanea, facendo emergere le inquietudini che la percorrono ed incarnandole nei suoi personaggi, che dai pensieri inconfessabili e di strategie necessarie alla mera sopravvivenza si fanno caratterizzare, senza riuscire ad uscirne davvero, senza riuscire mai del tutto a diventare membri di quella società della quale comunque vorrebbero far parte, per non sentirsi costantemente fuori luogo e non appartenenti a qualcosa, per sparire, forse, o per non pensare a quanto causa loro un dolore altrimenti intollerabile, che li annienterebbe, proprio come nel caso de I terrestri.
I romanzi di Murata Sayaka sono letture impegnative dal punto di visto psicologico, e tuttavia letture che rimangono decisamente impresse. Una voce interessante e importante, la sua, coraggiosa nel presentare ed indagare lati oscuri e stranezze che fanno parte del grande teatro di questo mondo imperfetto.