Oggi ripensavo a quando, nell’estate del 2014, abbiamo visitato Hiroshima, con una puntata nell’isola di Miyajima. Non parlerò tuttavia di questa città, di quello che rievoca, di quello che si prova nel vivere attraverso i suoi monumenti e i suoi simboli un vero e proprio percorso della memoria circa la tragedia di cui è stata scenario, della profonda lezione che continua instancabilmente ad impartire al mondo. Parlerò della strana notte trascorsa ad Hiroshima, affacciata alla finestra dell’albergo presso cui alloggiavamo.
Dopo essere arrivati al mattino presto ed aver visitato la città, nel tardo pomeriggio io e mio marito decidiamo di recarci a visitare l’isola di Miyajima. Il tempo non è dei migliori, ma dato che il mattino successivo saremmo dovuti tornare a Tokyo, quella sarebbe stata l’unica occasione per riuscire a vedere anche questo bellissimo posto. Arrivati sull’isola, ci godiamo la passeggiata sul lungomare, con lo scenario del magnifico torii del santuario di Itsukushima che sorge dalle acque, accompagnati dai cervi che anche qui, come a Nara, vagano liberi per le strade, per nulla intimoriti dagli esseri umani. Uno scenario magico. Le luci delle lanterne di pietra che si accendono, la bellezza del santuario, la natura che tutto abbraccia nel suo modo unico. Peccato che inizi a piovere. Anche se in un certo senso la pioggia rende tutto ancora più suggestivo, pian piano il tempo inizia a peggiorare. Ci avviciniamo all’approdo del traghetto per tornare sulla terraferma e da lì prendere il treno per Hiroshima: il cielo è già completamente nero, sia per l’ora che per i nuvoloni temporaleschi che lo ingombrano. In sottofondo si sentono dei brontolii sordi, cupi, dei tuoni che somigliano quasi al verso di qualche enorme bestia preistorica.
Scesi dal traghetto dopo la navigazione sulle acque nero inchiostro, ci affrettiamo verso la stazione. La pioggia inizia a scendere a cascata, il cielo si illumina di tanto in tanto con bagliori purpurei. Mentre camminiamo, dopo un lampo bianco seguito da un secco e forte tuono, capita un improvviso black out. La cittadina in cui siamo appena approdati con il traghetto piomba nel buio. Restiamo per un attimo come paralizzati, in attesa di vedere tornare le luci caratteristiche delle rassicuranti attività umane. Dopo qualche momento, le luci di negozi, lampioni e delle finestre delle case ritornano, e ci dirigiamo verso il sottopasso. Scesi i primi gradini, di nuovo un black out. Guidati da delle luci di emergenza di colore rossastro, che gettano ombre inquietanti nella volta del sottopasso, arriviamo alla banchina del treno, e osserviamo preoccupati la pioggia che cade talmente fitta da sembrare un muro d’acqua.
Tornati ad Hiroshima, l’acquazzone non sembra placarsi, anzi. Piove con la stessa identica insistenza, tanto che dobbiamo mettere da parte qualsiasi programma potessimo avere in mente e tornare in tutta fretta in albergo, cercando di camminare solo sotto la protezione delle gallerie commerciali coperte, dopo aver fatto una sosta ad un konbini per rimediare qualcosa da mangiare.
Durante la serata, me ne sto affacciata alla finestra dell’hotel, dalla quale riesco a vedere il parco della Pace e un angolo dell’edificio che ospita il museo. Il cielo è percorso da continui lampi, tanto che per tutta la notte rimane di un colore violetto elettrico, interrotto da bagliori bianchi, in una continua pulsazione, qualcosa di vivo e crepitante. La pioggia non cessa mai, vedo passare lungo le strade dei taxi che increspano in tante piccole onde l’acqua che ricopre le strade e scorre come un fiume. Non ho mai visto un cielo del genere, non riesco a staccare gli occhi dal panorama, impaurita eppure allo stesso tempo affascinata. Sembra quasi che stia per accadere qualcosa di enorme e spaventoso, e che tenendolo d’occhio in qualche modo si possa averne una sorta di illusorio controllo, per riuscire ad evitare il peggio. Il brontolio di tuono in sottofondo pare quasi emanare dalle colline nere all’orizzonte.
Il mattino successivo tutto pare magicamente a posto, se non fosse che, mentre siamo in tram per tornare alla stazione, sentiamo un signore giapponese, che si rivolge ad una famiglia di italiani che sta accompagnando in un italiano perfetto, parlare di seri problemi nei paesi circostanti, per via del nubifragio notturno. Poco più tardi veniamo a sapere che il maltempo ha causato purtroppo diversi morti e dispersi per via di smottamenti sulle colline. Insieme al dispiacere per le vittime, un brivido ci percorre. In me rimane ancora oggi chiaro il ricordo di quel cielo viola, così totalmente incurante di noi piccoli esseri umani che ci affannavamo sotto la sua volta, cercando riparo e domandandoci, con un istinto quasi atavico, se il mattino successivo il sole sarebbe tornato ancora.