Novembre 2018. In questi giorni di preparativi per il nuovo viaggio, mi trovo a pensare a quello che una persona che non è mai stata in Giappone si aspetta da questo paese. Credo che ognuno ricerchi qualcosa di particolare da un posto come il paese del Sol Levante, che sia inevitabile crearsi delle aspettative derivanti da immagini, letture, suggestioni provenienti dai vari media che riflettono di volta in volta un diverso aspetto di una cultura così complessa e varia.
Oggi come oggi, è facilissimo reperire informazioni di ogni tipo e riuscire ad avere un quadro abbastanza chiaro di cosa è possibile trovare in Giappone. Scrivo “abbastanza” non a caso, perché la chiarezza, quando ci si trova a relazionarsi con un’altra cultura diversa da quella da cui si proviene, non è mai completa. Sarebbe impossibile pretendere che lo fosse. E secondo me, proprio in questo sta il bello. Lasciare che vi sia pur sempre un qualcosa che non si può del tutto afferrare, un anelito a volerne sapere di più che continua a spingere sul percorso della conoscenza.
La prima volta che sono stata in Giappone non sapevo praticamente nulla della Tokyo contemporanea. Nel gruppo creato prima della partenza con gli altri compagni di viaggio, molti discutevano di quali quartieri avrebbero voluto vedere, nomi che per me erano ancora nebulosi. Ero sempre stata più legata all’idea della cultura tradizionale del Giappone, alla sua storia antica, e non vedevo l’ora di visitare Kyoto, pur sperando di ritrovare qualcosa della vecchia Edo nella moderna Tokyo. L’odierna capitale mi sembrava più come una tappa, che certo ero felicissima di fare, ma che ero sicura non mi avrebbe rapita. Inoltre, molti tra i miei compagni di viaggio non facevano che parlare di anime, manga e videogiochi. Tutte cose di cui anch’io sono appassionata da sempre (non ne parlo praticamente mai nel blog e nella pagina, perché ci sono già altre pagine che ne parlano molto meglio di me), ma che non fissavo nella mia mente come priorità, in un viaggio in Giappone.
Quanto mi sbagliavo. Quello che ci si aspetta dal Giappone è solo una minima parte di quello che questo paese effettivamente dona, se ci si presta a voler rovesciare e mettere in discussione il proprio punto di vista. Tokyo, proprio la Tokyo moderna, mi ha affascinata come mai avrei pensato, e la prima volta che sono stata a Kyoto non ne sono rimasta così follemente innamorata come ero certa mi sarebbe successo. Il Giappone mette in discussione anche quello che si pensa di essere, i propri gusti, e il loro riflesso in quanto ci circonda in un paese così lontano. Soprattutto in quello che potrebbe essere definito il paese del sincretismo, che non è solo religioso, ma anche culturale. Non c’è alcun aspetto della vita che non risulti importante per definire un mosaico così particolare come quello della cultura giapponese. In un certo senso è una lezione che insegna a non denigrare niente, a non considerare che su qualcosa non valga la pena di soffermarsi perché non è abbastanza seria o elevata. Lo dico io stessa rimproverandomi di essere stata, qualche volta, piuttosto snob da questo punto di vista.
Tendenzialmente, dal Giappone ci si aspetta che sia la terra della perfezione, della serenità, del senso civico elevato alla massima potenza. Una terra dove tutti rispettano il bene comune, dove la cortesia è cosa comune quasi quanto da noi in Italia il voler fare i furbi. Riflettete un attimo su quest’ultima frase. Veramente da noi in Italia tutti fanno i furbi, nel senso peggiore del termine? Un simile comportamento definisce in modo accurato l’essere italiano, l’atmosfera che si respira nel nostro paese? Io personalmente non ho mai fatto la furba, anche rimettendoci, e conosco molte persone che si comportano in modo corretto e rispettoso. E certo, ho esperienze quasi quotidiane di altrettante persone che invece danno ben ragione ai pregiudizi.
Così come non tutti gli italiani sono uguali e possono essere racchiusi in uno stereotipo, così non tutte le persone con cui ci si trova ad avere a che fare in Giappone sono uno specchio perfetto di quello che ci si aspetta dal Giappone. Non tanto nel primo viaggio, in cui oltre ad essere quasi sempre in gruppo con altre persone del mio paese, ero talmente estasiata da non fare caso se non alle cose positive, quanto nei successivi, mi sono resa conto sempre più che, per alcuni aspetti del comportamento umano, tutto il mondo è paese. Non è un solo un modo di dire trito e ritrito, per me è un confortante rendersi conto che c’è una comune corrispondenza di sentimenti, in tutti gli esseri umani. Questo dovrebbe fare anche riflettere sul fatto che è sempre possibile comprendersi, anche quando le barriere culturali e sociali sembrano enormi. Certo, a volte può essere anche irritante, perché, soprattutto durante quel tempo magico e sospeso che è la vacanza, uno vorrebbe che tutto corrisponda alle idee pittoresche che si è fatto.
Non fraintendetemi: il Giappone è davvero come ci si aspetta. Anzi, è ancora meglio. Ma di giapponesi che si comportano male ce ne sono. La cronaca nera di ogni genere c’è anche in Giappone, basta seguire qualche sito o pagina di giornali o riviste. La corruzione, la maleducazione, la pigrizia e la prepotenza esistono anche lì. Non è il paradiso, è un luogo terreno abitato da esseri umani. Bisogna tenerlo sempre ben presente. Si tratta piuttosto di un paese in cui il bene comune viene considerato quasi più degno di attenzione del proprio. Perché, a conti fatti, è come il proprio.
Come ho già detto altre volte, io in Giappone mi trovo benissimo perché le persone, nella stragrande maggioranza, si comportano così come io mi comporterei naturalmente. Per me certi gesti, certi modi di fare, di parlare, di ringraziare, sono sempre stati spontanei, e proprio qui, nel mio paese natale, vengo ancora oggi presa in giro o magari subisco qualche svantaggio perché mi comporto in certi modi. Quando li ho visti lì, come parte integrante della quotidianità, mi sono sentita confortata e totalmente a mio agio. Forse per la prima volta in vita mia non mi sono sentita del tutto sbagliata, o fessa. Insomma, tutto mi sarei aspettata dal Giappone, ma non di trovare un posto in cui sarei potuta essere semplicemente me stessa, comportandomi in modo totalmente spontaneo, senza domandarmi se non risulterò ridicola o goffa o troppo silenziosa.
Un altro errore che secondo me bisogna evitare è quello di giudicare attraverso il filtro della nostra cultura di origine. Già è inevitabile farlo, anche se non ce ne rendiamo conto e pensiamo di essere il massimo dell’apertura mentale. Bisognerebbe soffermarsi un attimo a domandarsi se non si stia applicando quello che per noi è normale o giusto a un contesto che invece ha altre regole del vivere comune, altri modi di pensare che non per forza sono sbagliati o criticabili, solo perché non corrispondono al nostro concetto di buon senso comune.
Il Giappone è, e al tempo stesso non è, come ce lo si aspetta. Non resta che cercare di viverlo, che sia per un breve viaggio o per un lungo periodo, per lavoro o per studio. Tutte esperienze di vita che possono offrire ciascuna una visuale diversa, un modo di intenderlo e scoprirlo diverso. Non c’è un punto di vista assolutamente giusto o assolutamente sbagliato. Dipende da quello che porta nel cuore ognuno di noi, dal nostro carattere, dalle nostre esperienze, dai nostri sogni. Dalle aspettative e dalla tolleranza per quanto di diverso riscontriamo rispetto alle stesse.
Concludo con alcune citazioni, che trovo siano sempre attuali e significative, quando ci si mette in viaggio o ci si confronta con altri paesi, altre culture, caricandoli delle proprie aspettative, magari deluse, magari soddisfatte. Bisogna sempre domandarsi se nel viaggio, nella cultura altra, non si stia ricercando un modo per fuggire da se stessi, e se appunto ci si accosti ad un paese e ad una cultura diversa non per reale e genuino interesse, o per amore di quello che questa è (o in alcuni casi per necessità, perché c’è anche questo degnissimo aspetto), ma dandole invece il pesante ruolo di consolare le nostre tristezze, cosa che magari non può fare. Il rischio di non capire nulla di quella cultura, dandole aspetti sfalsati (sia troppo positivi che invece negativi) rispetto al suo essere, è sempre dietro l’angolo.
Diceva Orazio: “Caelum, non animum mutant qui trans mare currunt” (il cielo, non l’animo mutano quelli che attraversano il mare), ripreso poi da Seneca: “Animum debes mutare non caelum” (devi mutare l’animo, non il cielo). E aggiungerei alcuni versi di Itaca, una poesia di Kostantinos Kavafis: “In Ciclopi e Lestrigoni, no certo/né nell’irato Nettuno incapperai/se non li porti dentro/se l’anima non te li mette contro”.