Quello che non emerge, quello che resta

Quello che non emerge. Cosa sarebbe?

Un mese dall’ultimo articolo, nonostante mi fossi ripromessa di scrivere qui con più frequenza.

A dire il vero sono entrata varie volte qui nelle Stanze, quasi in punta di piedi. C’era un po’ di stanchezza, che continua ad essere presente, ma che riconoscono non essere qualcosa di strettamente personale, bensì un’atmosfera che credo sia divenuta parte della vita quotidiana di ognuno. Io ho molto meno diritto di essere stanca o esasperata rispetto ad altre persone, anche se non sono impermeabile ai tempi che stiamo vivendo. C’è quella consapevolezza che tutti siamo cambiati nel nostro modo di intendere il mondo e di pensare al futuro. C’è forse della nostalgia per quanto era il passato di anche solo due anni fa, quando non avevamo la minima idea di quello che ci sarebbe capitato una manciata di settimane più tardi.

Insomma, in questo mese entravo qui, scrivevo un po’, e poi cestinavo l’articolo. Avevo la sensazione che, se si sente di non aver nulla da dire o se c’è quella paura di essere fuori contesto rispetto a quello di cui si parla di solito, si possa provocare disorientamento o dare l’idea di saltare di palo in frasca a chi legge.

Al tempo stesso, stava rifacendosi viva in me l’idea che forse non dovrei aver così paura del fuori contesto, che rendere questo blog un luogo in cui si parli di Giappone ma anche di altro era qualcosa che mi ero ripromessa anche anni fa, e che in fondo non ho mai davvero attuato, se non in alcuni articoli un po’ più intimisti ma che avevano sempre come punto di partenza qualcosa di legato al Giappone.

Mi sono detta, in questo periodo un po’ più rallentato, che forse quello che non emerge è quello che resta, e che facendosi strato finisce con il tempo per diventare fondamenta di quanto si è davvero. E di strati in me ce ne sono molti.

Me ne sono resa conto giusto qualche giorno fa, quando è venuta a mancare una scrittrice che amo molto, Anne Rice, che molti conosceranno per la sua opera più famosa, “Intervista col vampiro”. Insieme alla commozione mi è tornato alla mente quanto io ami un certo tipo di letteratura e di immaginario, che nel corso degli anni è stato anche parte dei miei studi. Quanto era lì e mi ha accompagnata mentre crescevo leggendo e scrivendo, e che poi si è arricchito della compagnia di quanto ho capito di amare altrettanto, qualcosa che non era parte di un percorso accademico che potesse dargli ad occhi altrui reale sostanza, ovvero la passione per il Giappone.

Sentieri che sono divenuti negli anni paralleli, poi si sono intrecciati, e che ogni tanto devono essere riscoperti e ripercorsi per sentirsi davvero completi come persone, per non perdere nulla di quanto ha creato il nostro complesso mosaico.

Quindi, varrebbe la pena parlare ogni tanto di quanto non emerge dai profili pubblici che si sono scelti di mostrare? In fondo, non si sfugge a quanto ha formato la propria persona, e anche quando ci si esprime lo si fa attraverso gli strumenti che si possiedono, e che sono fatti di tutte le proprie esperienze. Il mio modo di trasmettere un pensiero attraverso la scrittura è tale perché deriva proprio da tutto quello che si è succeduto nel corso degli anni.

In un anno che ha visto nella mia vita anche cose belle, pur nel suo essere sospeso nel non sapere del domani, comincio a pensare che dovrei scrivere più liberamente, senza timore di poter talvolta esulare dal tema Giappone. Che poi, se è vero quello che penso, ovvero che tutte le esperienze e le passioni infondono quanto si scrive e la propria personalità, alla fine l’influenza stessa di questa cultura e di questo paese non verrà mai meno anche quando potrei parlare di altro.

Nelle Stanze giapponesi scorrono molti pensieri fluttuanti, tra un sorso di tè e l’altro.