Rallentare, respirare.
Può sembrare quasi una contraddizione, quando ci siamo sentiti e ci stiamo in parte ancora considerando rallentati, a causa della pandemia e dei mesi in cui ci ha costretti in casa. Credo invece che sia un invito che dovremmo cogliere, proprio perché l’immobilità che abbiamo dovuto imparare nostro malgrado ha, per reazione, portato spesso a strafare in altri campi, e a cercare magari di recuperare quello che si è considerato perso non appena le condizioni hanno permesso una maggiore ripresa delle proprie abitudini.
Mille e mille cose da fare, che ci si sente in dovere di fare. Come se il rallentare fosse una colpa, che si tratti di una condizione imposta oppure no. E allora arriva la necessità di riempire, di non trascorrere giornate senza far nulla, perché quando ci si trova inattivi, soli con sé stessi, è anche con quanto è irrisolto che tocca fare i conti. Rallentare è comunque un lusso, sosterrebbero alcuni, di cui possono godere le persone che non sono chiamate a badare ad altre persone. Quando qualcuno ha bisogno di te, non puoi evitare di fare. Non lo pensi nemmeno. Vero. Quello di cui parlo è un rallentare che segue anche il riconoscere che ci sono le condizioni per farlo, e che tali occasioni le coglie perché ne comprende la necessità, anche per tornare a fare quanto serve.
Rallentare e respirare può essere lasciar perdere ogni tanto i social – a meno che non si usino per lavoro, certo, ma la differenza dovrebbe sempre essere abbastanza chiara – che spesso vengono usati per trasmettere l’idea che si fanno cose, e non per comunicare un qualcosa. Condividere è sempre più una parola fraintesa.
Rallentare può essere quel rendersi conto che si può fare quello che sia ama senza doverne dare continuamente il resoconto a qualcuno, perché vogliamo che tutti vedano e apprezzino quanto ci piace pensare ci caratterizzi. E al tempo stesso concedersi quanto piace senza sentirsi rosi dai sensi di colpa perché si dovrebbe fare qualcosa di più apprezzabile agli occhi degli altri.
Rallentare, respirare. Ognuno a suo modo, ognuno come può. Perché è chiaro che non esiste una formula valida per tutti, adatta a risolvere ed accompagnare le complessità di ciascuna vita.
Un invito, un augurio.