Ricordare Hiroshima

Fatico a parlare di Hiroshima. Da quando ci sono stata, nell’agosto del 2014, non ho mai trovato le parole giuste per poter descrivere quello che ho provato nel visitare questa città. Non so bene identificare nemmeno quello che provo ogni qualvolta si tocca l’argomento delle due città giapponesi colpite da Little Boy e Fat Man. Luoghi che ho conosciuto, anche se per poco tempo. Nagasaki un po’ meglio di Hiroshima. Così diverse, ai miei occhi, eppure accomunate dal ricordo dell’atrocità subita.

Io credo che il dolore e la tragedia lascino dei segni indelebili nel tessuto stesso della realtà. Si riesce a percepirlo. Ci sono luoghi, come Hiroshima, nel quale mi è parso di sentire il suolo stesso intriso del dolore passato, che così passato poi non è. La vita riprende sempre e comunque il sopravvento, per fortuna, ma qualcosa rimane. Ed è giusto che sia così, perché il ricordo è l’unico modo per cercare di imparare, per evitare di ripetere qualcosa che nemmeno sarebbe dovuto accadere.

Hiroshima è una bella città. Mi è piaciuta sin da quando sono scesa dal treno, anche se inizialmente ho faticato un po’ ad orientarmi. Poi ti avvicini al fiume, e la sagoma del Genbaku-Dome, una tra le pochissime strutture a restare in piedi, ti ricorda dove ti trovi. Nel grande parco i monumenti accompagnano i tuoi passi. Una processione a cui partecipi insieme all’invisibile, che attraverso tali monumenti ti racconta di vite evaporate e piagate, ti invita alla preghiera, alla riflessione e al silenzio. Non ti viene voglia di parlare, di commentare, nemmeno con chi ti sta accompagnando nel viaggio. Ci si ferma in silenzio ad osservare, la testa china nel leggere targhe o notare offerte di bottigliette d’acqua, fiori, oggettini. Guardi il fiume e pensi alle persone che nelle sue acque avevano cercato di alleviare la sofferenza provocata dalle ustioni. Cammini, e ti trovi al monumento dedicato alla piccola Sadako. Speranza, desideri purtroppo non abbastanza forti da opporsi all’inesorabile, ma un messaggio che è andato ben oltre il destino segnato. Taci anche dinanzi al cenotafio, con il suo “Riposate in pace, perché questo errore non sarà ripetuto”. Ti auguri che davvero i morti possano riposare in pace, in qualche modo.

Si arriva al museo. Non è duro nel senso che si potrebbe pensare. Non si ricerca la pietà o lo shock nel mostrare le immagini più forti, che pur si sa esistono. La sensazione che mi ha trasmesso è quella di gelo. Credevo avrei pianto, invece mi sono trovata letteralmente pietrificata. Bastano pochi particolari: un orologio fermo, il triciclo di un bambino, l’ombra di una persona su un gradino. I dati. L’enormità del disastro viene comunicata tutta, e ti lascia totalmente inerme.

Non sai bene cosa pensare, come sentirti. Io provavo un misto di pena, incredulità, vergogna. Quella vergogna che sorge spontanea perché anche tu sei un essere umano, e perché proprio degli altri esseri umani hanno voluto far questo. E’ la guerra, dicono ancor oggi molti. Non c’era altro modo, sottolineano convinti altri. Hanno cominciato prima loro, anche loro hanno commesso atrocità, accusano altri ancora. Personalmente, conosco un pochino il contesto per poter andar oltre le reazioni di pancia, sia in un senso che nell’altro. Niente può giustificare qualcosa di simile. Qualcosa che poi a distanza di pochissimi giorni è stato fatto ad un’altra città. Ripeto. Non può esserci giustificazione alcuna.

Hiroshima è diventata un simbolo. Non di accusa, di rabbia, di desiderio di rivalsa, ma di pace. Ed è quel desiderio fortissimo di pace che prevale, come messaggio. Insieme alla preghiera, quasi la supplica, di abbandonare una volta per tutte le armi nucleari, preghiera che purtroppo continua ad essere bellamente ignorata da tutti. Non bastano evidentemente due città che si sono fatte testimoni viventi di quello che dovrebbe essere un limite da non superare mai. La lezione non è servita, perché c’è sempre qualcos’altro a prevalere. La speranza è che prima o poi si comprenda.

Mai più deve accadere quanto è stato fatto ad Hiroshima e Nagasaki.