Ritorno alla semplicità

Ritorno alla semplicità, ecco di cosa avrei bisogno in questo periodo, per quanto riguarda il mio rapporto del tutto personale con il Giappone.

Un pensiero – come sempre, del tutto soggettivo – che sta fluttuando pian piano tra le pareti della mia testa, insieme ai tanti altri che quotidianamente si rincorrono. Un ritorno ad una visione che, anche se non può imbozzolarsi di nuovo in uno stato di beata incoscienza che lasci spazio all’incanto totale, può imparare a ritrovare quel vuoto positivo che accoglie la meraviglia.

Sospendere il giudizio ormai inevitabile su quanto si carica di certi significati – perché cosa che ormai si crede di sapere – per godere della bellezza e dello stupore in sé, e ritrovare quanto inizialmente ti ha avvicinata ad una cultura diversa dalla tua. Riuscire a comporre quel bilanciamento tra quanto è noto per porsi con quell’atteggiamento necessario ad imparare nuovamente, scoprendo che si era solo all’inizio di un processo, e che da imparare c’era ancora tanto.

Una consapevolezza che si ritrova appunto grazie a quella semplicità che nel corso degli anni tende a sfilacciarsi, quando lo sguardo sulla complessità si fa non arazzo, ma groviglio. Un groviglio che si cerca magari di districare facendo forza, tirando esasperati i fili perché la pazienza in certi momenti della propria vita davvero è difficile averla.

Ogni cosa corre veloce, persino quanto è parte del nostro tempo libero, quanto è nostra passione e amiamo pensare ci caratterizzi, sembra negli ultimi tempi dover sottostare a delle performance, ed ammantarsi, in tale velocità di fruizione e molteplicità di offerta che si accavallano l’una con l’altra, di un’inconsistenza che la rende in un certo senso sempre meno afferrabile e reale.

Pranzo a KyotoNon ce ne rendiamo nemmeno conto, talvolta, di quanto siamo influenzati e trascinati da quello che viene proposto sui social, di quanto il nostro umore e la nostra visione della quotidianità vengano mutati da quanto ci scorre davanti agli occhi. Non ce ne rendiamo conto perché fa paura, e un po’ ci si vergogna di quella che sembra quasi una debolezza di carattere, una dipendenza o forse brutta tendenza all’invidia, mentre si tratta invece di un meccanismo ormai ben rodato per suscitare proprio quel senso di inadeguatezza e creare dei desideri precisi. E la cosa più assurda è che si tratta di un meccanismo autoalimentato dai suoi stessi utenti, da noi stessi.

Tutto viene sviscerato, ogni minima cosa che ti entusiasmava e a cui magari stavi iniziando ad avvicinarti, puoi essere certa sia già stata sezionata in mille aspetti e salse da centinaia di altre persone. Si viene spesso travolti da una valanga di quanto quella che appare una comunità consolidata di cui è desiderabile far parte offre come visione ed esperienza di quanto riguarda ciò che ti piace. Forse, sei portata a sperare, se ti impegni un po’, anche tu potrai prima o poi essere parte di tale comunità.

La disponibilità di informazioni e la molteplicità di esperienze non può che essere positiva, quando diffonde conoscenza e permette confronto, ma molto spesso si discosta da tali scopi. Occorre far appello a quella capacità di concentrazione e discernimento che ci rimane, in un mondo di stimoli continui che proprio di questa sempre più dilagante incapacità di vivere davvero con semplicità e gioia un momento, una passione, si nutre.

Non voglio finire per vivere il Giappone, quando si potrà tornare a frequentarlo di persona e se avrò la possibilità di tornarvi, come se io non fossi presente, magari perché lo sto pensando solo attraverso quello che ho visto mostrato da altri, e penso a mia volta a cosa potrei mostrare agli altri, guardando quanto mi circonda attraverso uno schermo e non con i miei occhi.

Voglio esserci prima di tutto io, quando vivo quanto mi interessa, mi appassiona e mi fa stare bene. Che si tratti di camminare lungo una strada, conversare, mangiare, leggere, o scrivere. Perché se io non ci sono, in quei momenti, poi non riuscirò nemmeno a parlarne con le persone con cui voglio condividerli. E cosa rimarrebbe di quanto si è vissuto o imparato? Dove sarebbe finita la meraviglia, nel frattempo, pressata da altri tipi di urgenze, come confermare e ricalcare qualcosa di già noto, o mostrare e mostrarsi?

Credo che per evitarlo io mi debba corazzare di semplicità, d’ora in poi.

Semplicità. Che è la base del comprendere la complessità ricca del vivere. Utilizzare degli strumenti per quello che sono, e non farli diventare scopo o specchio per provare a sentirsi reali osservandosi sempre come se si fosse esterni a sé stessi.

Tornare ad apprezzare un nigiri nella sua bellezza e con lo stupore delle prime volte, anche se si ha continuamente di fronte l’offerta illimitata di un all you can eat. Ricordare la semplicità, e accompagnarla alla consapevolezza.