Sguardo estivo a fine primavera

Giappone, quasi estate. Come per il viaggio precedente, che era stato tra autunno e inverno, viviamo questo paese in giorni di soglia: ultimi giorni di primavera, ormai sfumati verso l’inizio dell’estate. La prima tappa è Morioka, una nuova città, primo di quei nuovi luoghi che non vedo l’ora di scoprire, perché so che questo paese ha sempre moltissimo da dire, che i suoi angoli possono essere tanto diversi da far pensare quasi di trovarsi in un altro posto, e non nel Giappone che si era visto o immaginato sino a quel momento. Salvo poi rendersi conto che è proprio questo suo essere cangiante e multiforme, eppure sempre riconoscibile nel suo intimo che traspare senza mai rivelarsi del tutto, a renderlo unico.

Senti e percepisci, più che comprendere, quel suo essere Giappone.

La prima sera a Morioka, domenica, siamo davvero molto stanchi. Abbiamo preso la coincidenza da Vienna per Narita per due minuti (reali, non metaforici) con una corsa folle all’aeroporto che ci ha quasi stecchiti. Senza bagagli, che arriveranno solo due giorni dopo (e per fortuna con un cambio, nel bagaglio a mano). Io in aereo non riesco mai a dormire, al massimo mi assopisco in uno stato tra veglia e sonno per un’ora o due.

Andiamo a mangiare del sushi poco lontano dall’albergo, in un ristorante con kaiten dentro un centro commerciale. Però, con quel po’ di coraggio preso dai viaggi precedenti, e grazie anche al menù in inglese che la cameriera ci porta, ordiniamo direttamente ai preparatori dietro il nastro quello che preferiamo. Credo sia tra i più buoni che mi sia capitato di mangiare. Poco dopo, volendo concludere la sera con qualcosa di dolce, andiamo nella caffetteria di una nota catena, anche per restare un po’ seduti a rilassarci, ed osservare la gente. Tra l’altro, nonostante sia quasi estate, di sera fa piuttosto fresco ed è meglio restare al coperto: nel bagaglio a mano purtroppo non ho messo gli indumenti per tale eventualità, che stanno viaggiando nel bagaglio da stiva.

Sono dell’opinione che, negli ultimi anni, questi siano i luoghi in cui ormai vedi davvero le persone del posto e la loro quotidianità, in quanto i turisti, sia per la voglia – giustamente – di provare cose che nel proprio paese non ci sono, sia per il timore di apparire come il classico turista che cerca le stesse cose che ha in casa anche all’estero, quasi non ci vanno. Mi sono trovata più spesso come unica straniera proprio nei fast food o nelle caffetterie di catena, piuttosto che nel localino super tipico e super pittoresco, dove invece c’erano tutti stranieri estasiati. Strano ma vero (come il titolo della rubrica de La Settimana Enigmistica).

Io e mio marito ordiniamo insieme alla cassa, poi ci spostiamo sul lato del bancone da dove arriverà l’ordine. C’è una ragazza giovane, carina, i capelli raccolti con un elastico da cui sporge qualche ciuffo, gli occhi curiosi. Prepara la bevanda di mio marito, il quale, dopo averla ringraziata, mi precede verso la zona dei tavolini. Resto io da sola, davanti a lei. Ci guardiamo, quasi di sottecchi, ci sorridiamo a vicenda. Tra me e me spero di non avere la solita aria distrutta che ho ogni volta che scendo dall’aereo (per la cronaca, al ritorno durante lo scalo a Zurigo mi faranno anche un controllo, “casuale”, mi rassicurerà la signora della sicurezza, mentre secondo mio marito me l’hanno fatto perché parevo sotto effetto di stupefacenti). La ragazza fa per aprire la bocca per dire qualcosa, esita un istante, poi prende coraggio.

“Perché in Giappone?” mi chiede in inglese.

Quanto ci sarebbe da dire, come risposta a questa domanda. Talmente tanto, e talmente personale, che un silenzioso sorriso potrebbe spiegare tutto. Anche senza parole.

“Siamo qui in vacanza. E’ il nostro settimo viaggio. La nostra prima volta però qui a Morioka.” Lei annuisce, un po’ stupita ma allo stesso tempo sembra anche un pochino sollevata. Continua a guardarmi di sfuggita con quegli occhi grandi, limpidi e scintillanti di curiosità, mentre prepara la mia bevanda. Io sbircio il suo nome sulla targhetta che porta appuntata al petto. Natsuki. Tra me e me mi domando come si scriva, se abbia il kanji di estate,”natsu”.

“Di dove siete?” mi domanda quindi. C’è sempre un pochino di imbarazzo nel suo chiedere, ma la voglia di parlare, di sapere, è più forte.

“Italia” le rispondo “Venezia” aggiungo poi. Annuisce, con un sorriso smagliante. Mi porge la bevanda, vado a sedermi insieme a mio marito. Quando abbiamo finito, facciamo per andare a sistemare i rifiuti e i vassoi nell’apposito spazio, ma la ragazza ci viene incontro e ci invita a lasciarli a lei, dicendo di non preoccuparci. Ci salutiamo diverse volte.

Martedì sera torniamo nello stesso posto. Insieme alla collega che sta in cassa, dietro il bancone c’è sempre lei. I suoi occhi si illuminano appena ci vede arrivare, attende al suo posto diffondendo una sensazione di aspettativa. Io mi domando se si ricordi o se sia una sensazione mia, ma il mio dubbio sparisce non appena, quando mio marito va a sedersi ed io rimango per un attimo ad aspettare il mio ordine, mi dice, sempre con quel lieve momento di esitazione prima di parlare: “Siete venuti qui anche due giorni fa, vero?”. Io annuisco con un sorriso, e mi dico che in fondo non ci sono molti turisti, qui, e quindi forse è facile ricordarsi di due stranieri.

“Per quanto rimarrete?” mi chiede. “Domani mattina partiamo per Aomori” le rispondo “Poi andremo verso Sapporo, per poi tornare indietro fino a Tokyo. Restiamo in Giappone per due settimane.” Ci guardiamo per un po’, entrambe con le labbra atteggiate a un sorriso tranquillo, mentre termina di guarnire l’ordine. Sento la simpatia intercorrere tra di noi, una sensazione che con il tempo ho imparato a riconoscere, quando incontro per la prima volta delle persone (così come ho imparato a riconoscere anche il suo contrario, e fidarmi della sensazione). Tra me e me maledico il mio essere molto timida. Se non lo fossi, mi piacerebbe parlare di altro, ma non vorrei metterla in imbarazzo. Mi piacerebbe sapere se davvero il suo nome contenga il kanji di estate. Ti si addice, le direi, perché il tuo sguardo è dolce e caldo proprio come l’estate, con una scintilla di entusiasmo sincero bella come il verde intenso di questa stagione. Invece, non dico nulla, mi porge l’ordine con un grande sorriso, ringrazio, ci salutiamo, mi augura un buon viaggio e vado al tavolo. Quando poi ce ne andiamo, lei ci saluta da dietro il bancone, sempre con quel sorriso sincero.

Quasi tutti i giapponesi sorridono gentilmente quando si rivolgono a qualcuno (dico quasi perché ci sono moltissime eccezioni, dei maleducati facce di bronzo esattamente come qui da noi, anche persone che hanno a che fare con il pubblico), ma è raro trovare dei sorrisi sinceri.

Il sorriso che ho incontrato in Giappone è più forma, l’espressione della cortesia, che è modo per creare un ambiente armonioso in cui relazionarsi con le persone in modo da non creare contrasti. Un modo di fare che io condivido totalmente, perché ho sempre sostenuto che essere educati e sorridenti non costa nulla, anche se chi hai davanti ti sta sulle scatole, e perché detesto i contrasti. Non è che io debba trattare male o essere indifferente con le persone con cui a conti fatti non ho niente a che spartire intimamente, perché devo in qualche modo esternare quello che penso davvero o provo davvero in quel momento. C’è chi la ritiene falsità, io per come sono fatta la ritengo civiltà, ma sono punti di vista. E’ vero che per molti, anche in Giappone, il saluto è diventato automatismo vuoto, un po’ stanco, ma lo si percepisce e lo si comprende. In certe situazioni chiunque sarebbe stanco.

Per questo Natsuki, con il suo sorriso pieno di domande e di simpatia, è un ricordo bello e prezioso. Quando siamo lungo la strada di ritorno verso l’albergo, mio marito mi dice “avresti potuto dirle questo e quello” e scherza sul fatto che mi abbia parlato sempre quando sono rimasta io sola davanti a lei, probabilmente intimidita dalla presenza di lui. Sì, avremmo potuto parlare di tante cose, ma vuoi la timidezza, vuoi la barriera linguistica e la paura di non capirsi del tutto con la lingua veicolare, è andata così.

Un incontro di qualche momento appena, alle soglie dell’estate. Uno dei tanti doni di questo paese.