Un luogo e il suo racconto

Un luogo è definito dal racconto che se ne fa? Ci pensavo in questi giorni, in cui sto leggendo La neve di Yuzawa. Immagini dal Giappone di Maria Teresa Orsi e Fabio Sebastiano Tana, recente testo edito da Einaudi nel quale viene proposta un’interessante selezione di luoghi legati al mondo della letteratura, traendo occasione per parlare anche dell’autore di volta in volta trattato e del contesto culturale e sociale che fece da sfondo alla sua scrittura.

Da qui parte una mia riflessione, che si estende in generale oltre la letteratura giapponese e quanto trattato ottimamente in questo libro.

I luoghi offrono immagini e suggestioni che possono divenire racconto, e poi, in un rapporto di mutuo scambio, assumono essi stessi ulteriore valore proprio perché, ad un certo punto, si sono fatti racconto?

Forse i luoghi assumono delle caratteristiche che finiscono per definirli solo se qualcuno traspone in parole quanto ha provato frequentandoli?

Oppure in ogni caso un luogo ha essenza di per sé, a prescindere dalla rappresentazione che una persona può farne? E questa eventuale essenza trasparirà sempre inevitabilmente dalle parole di chi riesce a restituire quanto in un determinato luogo ha provato o fatto provare a dei suoi personaggi, dando così modo al lettore di accorgersi, anche solo a livello inconscio, della radice che caratterizza tale luogo?

Sono molti i luoghi che assumono nel tempo fama perché sono stati descritti o utilizzati come sfondo letterario. A quel punto, quella che era già una realtà preesistente alle parole di chi ne ha fatto esperienza, diviene il luogo di quelle parole, finendo addirittura per essere identificata con le stesse e con chi le ha trovate. Un arricchimento di un contesto, ma al tempo stesso viene da chiedersi se non sia stato preso in considerazione, quel luogo, proprio perché ha qualcosa di speciale a prescindere dall’essere già stato oggetto di attività letteraria.

Forse chi racconta un luogo non fa altro che farsi interprete di quello spirito del luogo che attende sempre qualcuno che gli dia voce, e chi racconta può appoggiarsi ad un contesto per parlare anche di sé, o di tematiche che gli sono care, magari senza rendersi immediatamente conto che è il luogo a saper estrarre quanto giace nell’animo. Ci sono in effetti luoghi che sembrano avere questa capacità.

E quando invece ci si imbatte in luoghi che appaiono molto banali, e non avevano alcuna fama, salvo poi divenire un vero e proprio fenomeno attira visitatori quando un personaggio di una certa rilevanza ne parla o vi soggiorna? In questo caso è unicamente la persona a conferire valore e carattere a qualcosa che altrimenti sarebbe rimasto statico e oscuro?

Il discorso è complesso e sicuramente trattato meglio in molte altre sedi rispetto a quello che, nelle mie intenzioni, è un semplice spunto che voglio condividere qui, un invito alla riflessione.

Personalmente, quando mi trovo in un luogo che è stato celebrato attraverso il racconto di qualcuno, sento – come credo capiti a tutti quelli che conoscono tale racconto – quel contesto intriso delle parole. Probabilmente da tali parole vengo influenzata a mia volta nel guardare e fare esperienza di quel contesto. E, se ne racconto a mia volta, la mia esperienza potrebbe portare con sé le stratificazioni delle esperienze e suggestioni altrui. Nonostante questo, la stessa potrebbe pur sempre avere i caratteri unici che io le ho dato, perché il tutto è filtrato attraverso la mia persona. Non è raro che uno stesso luogo venga inteso e descritto in modo diverso da delle individualità che, appunto, sono diverse.

In tutto questo, dove finisce e dove si trova quello che il luogo realmente è?

Un’altra questione che con il diffondersi ormai capillare dei mezzi di condivisione diviene sempre più complessa. Ora ogni luogo, soprattutto se già parte di un un certo immaginario e più e più volte raccontato, può vantare una miriade di rappresentazioni, da parte di chiunque. Il rischio è spesso che non lo si percepisca più come un luogo reale, bensì come una mera rappresentazione di qualcos’altro. Si rischia di perdere il contesto per dare unicamente valore al singolo ego che si muove in tale contesto, perdendo tutte le altre sfaccettature.

Ogni racconto tende ad essere soggettivo, ed è normale che sia così, nell’ambito artistico e letterario. Ed è anche giusto che sia così, secondo me. Vedendo attraverso i tanti occhi degli altri uno stesso luogo, è possibile comunque farsene un’opinione, arricchita anche dai punti di vista altrui. D’altra parte, gran parte dei luoghi che vengono raccontati vedono la propria storia e le proprie peculiarità formarsi, e spesso anche mutare, proprio grazie alle comunità che li hanno frequentati nel tempo, e le comunità sono pur sempre fatte di persone.

Occorre però essere in grado di non lasciarsi trascinare unicamente da quell’intento di mostrare un luogo come posto desiderabile, che un po’ mi pare stia prendendo piede. Quel voler non tanto raccontare un luogo di per sé e quello che ha rappresentato per chi lo racconta, ma un voler farsi identificare come parte di un contesto interessante, che è stato oggetto di dissertazioni artistiche e letterarie. Quasi che far parte di un tale contesto offrisse un valore che si trasferisce direttamente alla persona, che invece dovrebbe avere la certezza di valere a prescindere dal luogo in cui si trova. Non nego tuttavia che alcuni luoghi abbiano la capacità di tirar fuori quanto una persona magari non è riuscita sino a quel momento a vedere all’interno di sé – ma quanto era lì nel profondo non si è mai mosso, può essere solo messo in luce.

Si arriva a quel punto dove ad essere raccontato non è più il contesto, ma solo la persona. Il che va benissimo, e personalmente lo apprezzo, se ci si rende conto che in tal caso il luogo non è più così centrale, e non si pretende di star restituendo con le proprie parole – o leggendo e ascoltando, nel caso si stiano seguendo parole altrui –  l’unica realtà oggettiva o valida circa lo stesso. Sapere che non è più un luogo e il suo racconto, ma anche una persona e il suo racconto, quanto ci si trova dinanzi, permette di cogliere al meglio anche quanto la persona stessa intende trasmettere.

L’importante credo sia avere tale consapevolezza che a questo punto la lente si è spostata, e che l’essenza di quel luogo, la sua realtà, può essere sfuggita, perché la focalizzazione si è trasferita su chi racconta. Inevitabile forse, proprio perché ogni racconto non può che essere soggettivo? Credo di sì. Appare anzi molto più marcata, questa tendenza a sfuggire, nei luoghi colmi di fascino e che spingono al confronto con sé stessi, che per loro stessa natura attraggono e finiscono per essere raccontati da innumerevoli voci.

E forse è proprio nella loro stessa natura anche beffarsi di noi, e del nostro tentativo di coglierli.