Questa mattina stavo ripensando a quando, nel marzo del 2015 durante un viaggio a Tokyo, io e mio marito partecipammo ad una cerimonia del tè, seguita da una lezione sulla stessa. Dopo una dovuta introduzione, la cerimonia vera e propria venne eseguita da un maestro. Ricordo che quando, preceduto dal fruscìo leggero del fusuma (la parete scorrevole) che stava scostando, il maestro entrò nella stanza, dove lo attendevamo seduti sui tatami, per un momento mi venne il terrore, vista la dignitosa solennità che emanava: fu solo per un attimo, tuttavia, perché immediatamente l’eleganza e la perfezione fluida dei suoi gesti mi trasportarono davvero in un altro luogo, sospeso nel tempo, dove non c’era nulla tranne quel momento sereno di condivisione e contemplazione.
Terminata la cerimonia ed uscito il maestro, mentre ancora avevo un’espressione vagamente intontita, una gentilissima signora in abiti tradizionali ci illustrò, spiegandole più dettagliatamente, le varie fasi, dandoci delle nozioni sui vari passaggi ed invitandoci a provare a nostra volta (sì, ho eseguito una cerimonia del tè. E non sono nemmeno andata tanto male!). A parte la sensazione di assoluta serenità che la cerimonia eseguita dal maestro ha infuso in me, sensazione che è perdurata a lungo anche nei giorni successivi, sono state le parole della signora, mentre ci spiegava gli strumenti e quanto sta alla base della filosofia della cerimonia del tè, a restare ancora oggi nel mio immaginario, anche come modo alternativo di vedere la vita.
Ci parlò soprattutto di un concetto che riassumeva con l’espressione “Un momento, una vita”.
In quel momento eravamo lì tra sconosciuti (oltre a me e mio marito c’erano una coppia di giovani svedesi e una ragazza francese), riuniti per la lezione e per l’esperienza della cerimonia. Non ci eravamo mai incontrati prima e probabilmente non ci saremmo più rivisti, tuttavia stavamo condividendo quell’attimo irripetibile, insieme. Impossibile anche solo immaginare cosa il futuro avrebbe riservato ad ognuno di noi, eppure per un istante le nostre vite si sono incontrate. Non si sarebbe mai potuto sapere se il destino in qualche modo le avrebbe fatte incrociare di nuovo, nel frattempo tuttavia avremmo vissuto insieme quell’attimo di comunione. In tal senso, ogni istante può racchiude una sorta di eternità, fa sfiorare delle vite, che comunque non saranno più uguali al momento precedente il loro incontro, perché hanno intrecciato per quell’attimo il loro corso a quello di qualcun altro. A prescindere dal fatto che poi, nel proseguire del loro percorso, ognuna di queste esistenze non si sfiori nemmeno più.
Così si doveva vivere la cerimonia del tè, con la consapevolezza di un attimo che immerge totalmente nel momento, lasciando all’esterno le preoccupazioni del mondo. Come potete vedere dalla foto qui accanto, nel tokonoma, la nicchia dove viene posto un oggetto d’arte e appesa una calligrafia in tema con l’occasione e con la stagione, vi era un bocciolo che non si era ancora aperto: la signora l’aveva colto quella stessa mattina dal suo giardino.
Anche quel bocciolo sarebbe rimasto così solo per poco, poi avrebbe iniziato a schiudersi. Bellezza di un momento irripetibile.