Un passato non passato

Un passato non passato non è sempre e solo un’espressione legata al gioco dei tempi verbali o al ripresentarsi di alcuni eventi.

Ci pensavo lo scorso agosto, mentre ero in Giappone, durante uno di quei giorni che al viaggiatore desideroso di vedere ed esperire il più possibile potrebbero sembrare giorni sprecati. E invece, per quanto sia bello scoprire sempre nuove cose, quanto si rivelano importanti anche le giornate di immobilità più o meno voluta, che ti spingono ad osservare più a fondo, a notare particolari sui quali non ti eri mai soffermato prima.

Girando per il quartiere di Akihabara, con il fiume Kanda in quel punto divenuto ormai famigliare, mi soffermavo a leggere dei cartelli dall’aria sobria, posti in corrispondenza di un ponte, di uno spiazzo, di un incrocio. E lì eccolo, inciso in parole che raccontano giorni che sono stati vivi, il passato non passato che in alcuni luoghi sembra così improbabile, data la loro modernità e il loro essere associati ad altre cose strettamente contemporanee.

Luoghi di commerci, di passaggi, di attività che nel corso del tempo si sono certo mutate per rispondere ad altro. Ma rendersi conto che in fondo un quartiere così iconico in questo caso per anime, manga e elettronica sia alla fine sempre lo stesso nelle sue radici, lascia al contempo una sensazione strana eppure confortante. E dentro di me, dopo aver letto, ed essermi resa conto come d’improvviso di cosa ho intorno, l’ho sentito quel passato non passato, mi è parso che un altro tempo si sovrapponesse a quello che stava scorrendo.

L’ho sentito nelle persone in attesa di attraversare lungo le strisce pedonali, veloci verso il lavoro, nei commercianti e ristoratori che stavano aprendo i loro esercizi, con gesti sempre uguali, espressioni di una pratica consapevolezza scolpite nel volto. Cambia certo l’abbigliamento, quello che la gente cerca, cambia in parte quello che permette di guadagnare per vivere.

Quanti viaggiatori si soffermeranno a leggere questi cartelli, ho pensato? Quante persone del luogo lo faranno, pur passandoci davanti ogni giorno ma troppo di corsa e troppo annoiate e preoccupate? Eppure, il fatto stesso che ci siano è un segnale di consapevolezza che i paesaggi cambieranno, ma resta sempre questo passato non passato.

Ed è qualcosa di vero soprattutto per l’attuale capitale, trasformata quasi completamente dall’epoca moderna.

Tokyo è un esempio talmente palese di mutamento continuo, che pare impossibile che vi resista un passato non passato, se non nei suoi angoli più pittoreschi, preservati appositamente per la gioia di chi ricerca la tradizione e il poter esclamare quanto sia interessante che essa conviva con la modernità. E invece, anche nella immensa Tokyo qualcosa resta, si adatta al mutare dei tempi, cambia talmente superficie da non farsi riconoscere, ma è sempre lì.

E si esprime, come ha sempre fatto, attraverso le persone che abitano e vivono il luogo, e che continuano nel loro intimo a portare avanti nel proprio quotidiano un sentire comune, un proprio ruolo nel complesso, e per noi spesso incomprensibile, mosaico della società nipponica. Qualcosa di talmente radicato da essere spontaneo.

Il passato non passato non è da confondersi con l’armonia tra tradizione e modernità, anche se i due aspetti convivono e collaborano, e spesso occorre procedano di pari passo per rivelare le tracce del cuore stesso di una cultura come quella giapponese. Ritengo sia qualcosa di più pratico, più legato al procedere giorno dopo giorno nel costruire qualcosa, dando il proprio contributo anche inconsapevole ad uno schema più grande, proseguendo in quanto chi ci ha preceduto ha fatto in un tempo di cui forse non sappiamo nulla nel dettaglio.

Incessantemente, nel susseguirsi dei secoli, per quanto tutto possa sembrare essere cambiato, per quanto le persone stesse possano sembrare totalmente diverse per consapevolezza, desideri, vizi e virtù derivati da quanto il progresso porta con sé.

Potrebbe sembrare esagerato, potrebbe parere impreciso o frutto di una volontà di imprimere qualcosa di più legato a un orientalismo romantico che alla realtà. Si tratta solo di una mia riflessione, sorta spontanea nel ritrovare ancora lì quel passato non passato, da scorgersi come attraverso un vetro appena appannato dai vapori del tempo.

Era ancora lì nei gesti, negli sguardi, nelle atmosfere, quello che delle parole scritte per ricordare quanto è stato raccontavano all’aria afosa e densa di fine estate.