Venezia, la Bellezza

Venezia, la Bellezza. Andiamo un po’ fuori tema, ogni tanto ci sta, per raccontare qualche altro aspetto della mia vita, oltre l’amore per il Giappone.

Oggi mi sono messa a rileggere dei post che facevano parte di un mio vecchio blog, ormai chiuso. E ho ritrovato delle descrizioni di una città, Venezia, nella quale ho studiato e lavorato, e che continua ad essere un incredibile incanto per me, sempre grata di averla così vicina.

Qualche giorno fa, il 25 marzo, si sono celebrati i 1600 anni della nascita di questa città unica, e ho pensato di uscire per un attimo dai consueti post sul Giappone per porgere il mio omaggio a quella che è sempre la mia città, attraverso il ricordo di tante passeggiate fatte in ogni periodo dell’anno, in ogni momento del giorno. I suoi scenari struggenti, di un bello che entra a smuovere l’animo, mi hanno accompagnata in infinite riflessioni, malinconie, gioie, fatiche e contemplazioni serene.

In attesa che si possa tornare alla vita normale, ai suoi ritmi che colorano anche della serena routine della quotidianità umana ogni città, aumentandone la bellezza, la rievoco con le parole della me stessa di qualche anno fa. E rivivo come fosse proprio ora ogni cosa, ogni angolo, ogni riflesso.

Ecco Venezia nelle mie parole di un po’ di tempo fa.

“Questa sera ho fatto un percorso alternativo, rientrando dal lavoro.

Sono scesa con il vaporetto alla fermata della Madonna dell’Orto. Avevo voglia di rivedere la facciata di questa bellissima chiesa. Erano le sette, sono scesa e ho cominciato a camminare tra le case popolari. Un tripudio di giardini pieni di verde, così strano e ancora più vivido in mezzo a tutti quei mattoni e agli ampi spazi dei campi dalla pavimentazione grigia. C’era profumo di foglie e di fresco, e le ombre si allungavano a terra, giocando con le ultime strisce di luce del giorno. Poi, la facciata della chiesa, preziosa contro il cielo azzurro della sera, con la sua teoria di santi ad accogliere i fedeli ai lati del portone e il meraviglioso campanile simile a un delicato biscotto uscito dalle mani di un pasticciere artista. Ho proseguito per il campo dei Mori, dove giocavano a pallone un papà con le sue due bambine: le statue dei mori parevano stare ad assistere dal bordo campo. Ho constatato che Sior Rioba é al suo posto dopo aver perso la testa un po’ di mesi fa. Sono passata davanti a osterie dove graziose cameriere apparecchiavano i tavolini all’esterno, stendendo le tovaglie. Sul muro scuro un capitello con le inferriate chiuse celava un tenerissimo Sant’Antonio da Padova. Infine ho attraversato il Ghetto: acciambellato davanti ad un negozietto di libri c’era un gattone rosso spettacolare. Uscita ad attraversare il ponte delle Guglie, sono stata investita dal profumo di cibo che si spande dai ristoranti e dalle osterie. La gente per le strade sciamava tranquilla. Gli oggetti di vetro nei negozi della Strada Nuova scintillavano appena come gemme nascoste in una grotta.
E ancora una volta, ho pensato che Venezia é ingiusta. Mi costringe a pensare, ogni volta che vedo una nuova città, che nessuna, per quanto bella e interessante, é paragonabile a lei.”

“Venerdì mattina, in giro per Venezia.

L’aria si è fatta tiepida, e quel vento sferzante che durante l’inverno ha dato così tanto fastidio si é finalmente calmato. In un canale, un guanto di plastica bianco si tende verso l’alto, gonfio d’acqua, e sembra la mano di Ofelia che si protende dalle acque di un denso verde scuro, o le dita sognanti di una sirena che si sia staccata dal fondo melmoso per toccare la luce. San Sebastiano, sulla cima del frontone della chiesa che porta il suo nome, continua a soffrire con espressione soave, trafitto dalle frecce, candido contro il cielo azzurro. Un vecchio portone smangiato dall’acqua é seminascosto da una cascata lussureggiante di erbe rampicanti.
Lungo il Canal Grande, controsole, tutto é sfumato in una sorta di nebbia dorata. La sagoma scura del traghettatore che dal mercato di Rialto fa la spola per la riva opposta é una figurina di carta nera mossa dal meccanismo di un teatrino meccanico. Ca’ Pesaro e il Fontego dei Turchi, con le loro masse bianche, spuntano dall’acqua piena di riverberi come palazzi incantati di un possente re sottomarino. Giardini racchiusi da mura celano fresco e ombra, e piante di un verde quasi nero. La statua di una santa, il bel volto celato da un cappuccio, si appoggia e al tempo stesso regge la croce sulla facciata della chiesa di San Stae.
Il fascino di Venezia é anche nei particolari.”

“Ieri sera, uscita dall’Ospedale San Giovanni e Paolo verso le sette e mezzo ed incamminandomi lungo le Fondamente Nove, mi sono trovata di fronte ad uno spettacolo silenzioso e magnifico.

Una luna tonda e rossa stava spuntando, all’orizzonte. Il suo disco dal colore quasi irreale si alzava lentamente sulla laguna color pece. Le acque nere erano punteggiate dalle pozze di chiarore aranciato dei lampioni di segnalazione e dal riverbero delle crestine delle onde. I gabbiani si lasciavano trasportare dal vento sopra l’acqua, fantasmi di uccelli. L’isola di San Michele era un’ombra scura di sagome di cipressi davanti alle luci di Murano. Le Fondamente erano spazzate dal vento freddo ma non gelido di inizio autunno. Le vetrine di un negozio di un antiquario rivelavano nella penombra della chiusura oggetti dimenticati: un vecchio abat-jour illuminava un angolino pieno di chincaglierie polverose attraverso il suo paralume. Un artigiano finiva di rifinire delle tavole di legno per imposte alla luce violenta dei neon della sua bottega piena di macchinari. I bar riunivano gruppetti di persone davanti alle loro insegne colorate e al loro aspetto di moderni focolari.

Mentre la luna si alzava sempre di più, acquistando un colore d’oro scuro, il vaporetto quasi vuoto fendeva le acque, allontanandosi dalla riva per poi riavvicinarsi con ampie manovre vicino alle fermate. Le stelle punteggiavano il cielo nero, le varie costellazioni come disegni ben definiti, piccoli punti d’azzurro lontano. Una lunga scia luminosa tremolava sull’acqua, mentre la luna continuava la sua ascesa specchiandosi nella laguna. D’un tratto, il vaporetto ha cambiato direzione per entrare in un canale, la lunga linea del Ponte della Libertà é apparsa con i treni simili a giocattoli dai finestrini illuminati fermi in attesa di entrare in stazione. Lo sfavillare di Porto Marghera mi ha lasciata nonostante tutto a bocca aperta. L’ edificio dell’ ex macello con i macabri teschi di buoi scolpiti sulle pareti, illuminati tenuamente dai lampioni. I palazzi con i balconi che si aprivano sulla notte, così che lo sguardo poteva intravedere le travi scure degli ultimi piani, i lampadari come cristalli di neve sospesi, frammenti di soffitti con affreschi di artisti ineguagliati. Le statue e le facciate delle chiese di un bianco vivido in contrasto con il cielo notturno. Questa é Venezia in una sera di autunno.”

“La gente incolonnata lungo le calli, a valutare se gli stivali basteranno a non bagnarsi, o se ci saranno punti in cui l’acqua é più alta di quanto non sembri.

Gli imbarcaderi dei vaporetti insolitamente alti, che costringono quasi a scalare. Le persone leggermente divertite, con facce comprensive, mentre camminano pian piano in fila indiana, rasente ai muri. I vecchi che se ne stanno a guardare mentre i giovani passano, e commentano “eh, non xe niente…”.
I palazzi che più che mai sembrano parte di un regno fantastico che spunti direttamente dalle acque. Il contrasto tra le pietre consunte delle facciate e l’acqua cangiante, mobile. Il silenzio rotto dallo sciaguattare dei passi che smuovono l’acqua. I riflessi sulle volte dei sottoportici. Il selciato che pare messo sotto vetro. Piazza san Marco che diviene un tutt’uno con il cielo, come fosse divenuta laguna. La sensazione di fragilità che emana il tutto, come se Venezia non fosse altro che un sogno pronto a svanire inabissandosi nell’acqua verde dei suoi canali. La luce del sole che gioca tra pietra e acqua, creando faville d’oro tra i masegni e lo strato di acqua che li sommerge.
Per quanto l’acqua alta sia sempre un disagio – soprattutto se devi andare a lavorare – non riesco a non rimanere incantata anche da questo aspetto di Venezia.”

Buon compleanno, meravigliosa città incantata.