Farsi capire in Giappone – Capitolo 5

Farsi capire in Giappone è uno dei pensieri inevitabili durante l’organizzazione di un viaggio in questo paese, soprattutto se si tratta della prima volta e se non si conosce neanche una parola della lingua. Non si tratta certo di un problema che possa far desistere dall’intraprendere un viaggio, ma non è nemmeno un argomento così banale da poter essere liquidato con un “esistono i traduttori automatici”.

Benvenuti in questo Capitolo 5 de “I consigli empirici di Stanze Giapponesi”, dove percorriamo alcuni aspetti dell’organizzazione di un viaggio in Giappone. L’intento di questo spazio, più che dare istruzioni su come fare questo o quello, o su cosa fare assolutamente, è di far riflettere sui vari aspetti del viaggio, rievocando esperienze personali fatte sinora in sette viaggi in questo paese nel giro degli ultimi dieci anni – con altri in previsione.

Come farsi capire in Giappone, dove si parla una lingua complessa e incomprensibile, che non permette improvvisazioni? Mi dovrò affidare all’inglese, che è una lingua che dovrebbero sapere tutti? O mi dovrò esprimere a gesti? E se poi i gesti lì significassero qualcos’altro e venissi frainteso? E se non so nemmeno l’inglese come me la cavo? Meglio andarci con un tour organizzato dove ci sia un accompagnatore che parli la lingua e che si occupi di tutto?

Tutti questi dubbi e lievi preoccupazioni sono interessanti perché riguardano principalmente la questione della comunicazione e della capacità di trasmettere concetti e necessità, o di orientarsi. Questioni di sopravvivenza quotidiana e di possibilità di reazione efficace ad eventuali imprevisti. Spesso diamo per scontata la capacità di comunicare con chiarezza e di comprendere quanto ci circonda, invece è proprio quando veniamo a contatto con un’altra realtà dove la lingua principale non è la nostra, e non è nemmeno intuibile tramite la nostra, che ci si rende conto di quanto sia importante e rassicurante la certezza di essere capiti.

In Giappone si parla giapponese. L’inglese viene parlato, ma non da tutti, esattamente come può capitare in Italia. Provate a pensare di fermare a caso per la strada dieci italiani e di iniziare una conversazione in inglese. Ecco. E comunque, io credo che sia da tenere in considerazione che nemmeno il viaggiatore di turno magari sappia l’inglese. Per età, predisposizione, storia personale in quanto a studio o lavoro, potrebbe non conoscerlo, anche se oggigiorno si tende a credere che, dal momento che viene insegnato nelle scuole dell’obbligo, perlomeno i più giovani debbano conoscerlo.

Come farsi capire in Giappone, e capire quanto ci circonda?

In generale, nelle città medio grandi la segnaletica e le insegne sono scritte sia in lingua giapponese, sia nella traslitterazione in lettere latine. Quindi, non è un problema orientarsi, quello che si cerca lo si trova scritto da qualche parte in modo comprensibile per un occidentale, prima o poi. Inoltre, soprattutto per quanto riguarda i trasporti, tutto è improntato a cercare di risultare il più comodo ed efficiente possibile. In tutti i luoghi interessati dai flussi del turismo internazionale ci sono indicazioni in inglese e l’inglese almeno un minimo viene parlato. Moltissimi ristoranti hanno i menù in inglese e con foto, o ci sono i modelli di plastica del cibo esposti, quindi non ci sono problemi per far comprendere cosa si voglia.

Nelle città più piccole invece, tranne che nelle stazioni ferroviarie, diviene un po’ più difficile trovare la stessa diffusione di indicazioni traslitterate in lettere latine.

Per quanto riguarda l’inglese parlato, bisogna tenere conto che spesso la pronuncia non è la stessa cui siamo abituati, tanto che alcune parole potrebbero risultare incomprensibili. Questo vale anche per noi, nel senso che chi ascolta noi parlare in inglese potrebbe non capirci, perché abbiamo una pronuncia particolare che nel nostro paese è considerata quella accettabile per alcune parole. Se provate ad ascoltare gente di diverse nazionalità parlare in inglese, sentirete altrettante pronunce diverse, spesso diversissime tra loro. Soprattutto se non si è in un ambiente accademico o di fronte a persone che hanno una pronuncia standard corretta affinata negli anni per esperienza, volontà o semplice predisposizione. Io stessa, per quanto abbia una laurea magistrale in letteratura inglese e abbia fatto per cinque anni esami di lingua e frequentato lettorati, ho una certa cadenza che mi identifica come italiana (e come veneta, sicuramente).

Probabilmente molti tra voi diranno che tutti questi ragionamenti non hanno senso, in un mondo dove ormai ognuno è con lo smartphone in mano per la maggior parte delle giornata, e quindi con la disponibilità di applicazioni che fanno anche da traduttore o ti guidano passo passo lungo strade e luoghi di interesse. Personalmente, trovo che affidarsi a delle app possa essere certo utile in alcune situazioni, ma non sia sempre assolutamente efficace nella totalità dei casi. Se per qualche motivo non vi fosse la possibilità di utilizzare l’app di turno cosa si fa? Inoltre, ricordiamo che si tratta sempre di un mezzo che traduce in modo meccanico e privo di qualsiasi sensibilità circa il contesto, o, nel caso delle mappe, potrebbero esserci cambiamenti anche temporanei che l’app magari deve ancora rilevare. Inoltre, nonostante negli ultimi anni i traduttori automatici siano sicuramente migliorati, la traduzione che non c’entra nulla è sempre dietro l’angolo, quando non c’è l’intervento umano che si rende conto della pertinenza o meno di una parola.

Per quanto riguarda il comunicare in inglese, si sarebbe portati a pensare che i giovani siano più disposti a scambiare qualche parola in tale lingua, ma non è sempre vero. Spesso ho riscontrato più timidezza proprio nelle persone più giovani, che magari sono più fresche di studi e almeno nella teoria la lingua inglese la conoscono, ma si bloccano sino a restare in silenzio forse per la paura di sbagliare. Le persone più anziane invece molto spesso non si fanno alcun problema, anzi, capita che nel vederti disorientato si avvicinino e cerchino di aiutarti in qualche modo, magari accompagnandoti sin sul luogo o coinvolgendo qualcun altro che a loro parere potrebbe esserti utile.

Spesso si trovano anche persone di varie età – dagli studenti ai pensionati – che vogliono chiacchierare con te proprio perché sperano tu parli in inglese, così da poter esercitarsi in una lingua che studiano anche solo per hobby. Ci sono poi guide volontarie che ti accompagnano a visitare santuari o luoghi famosi, spesso si trovano proprio nel luogo in questione e ti si avvicinano per proporti tale visita – gratuita. Vi consiglio di approfittare della loro gentilezza, per conoscere aspetti dei luoghi che solo le persone che li vivono come loro quotidianità riescono a trasmettere. Ovviamente parlano in inglese.

In generale, quando occorre fare cose piuttosto precise come ad esempio prenotazioni di treni, è molto più pratico scrivere su un foglio destinazioni e orari. Gli addetti delle biglietterie mi sono sempre apparsi grati e sollevati quando porgevo loro il foglio anche con più richieste di prenotazioni, e svolgevano il lavoro alla velocità della luce. Si evitavano così fraintendimenti dovuti alla lingua veicolare e al vetro che stava di mezzo e rende un po’ più difficile capirsi, attutendo le voci. Lo stesso vale se si prende un taxi, meglio mostrare un indirizzo scritto al guidatore, e anche in hotel è utile avere come supporto visivo la propria prenotazione stampata. Più strumenti vengono messi in campo per fare da supporto alla comunicazione, meglio è.

Credo inoltre sia importante, a prescindere dalla lingua parlata, l’atteggiamento. In Giappone di media sono tutti estremamente gentili, quindi anche nel rivolgersi alle persone, che siano passanti a cui chiediamo qualcosa o addetti ad un servizio, teniamo conto che la gentilezza è fondamentale. Personalmente ad esempio trovo che non sia bello, nel caso in cui non ci si capisca immediatamente e occorra qualche sforzo in più, mettersi a fare commenti magari esasperati o ironici nella propria lingua madre, convinti che tanto la persona che abbiamo davanti non capisca. Oppure fare la propria richiesta con toni e modi che vorrebbero sottolineare una sorta di diritto ad avere una certa informazione, imputando eventuali difficoltà nell’ottenerla, o ottenendo risposte che non soddisfano, ad una mancanza della persona che ci sta di fronte o dell’intero sistema. Non faccio esempi a caso, ma riporto atteggiamenti di turisti stranieri in Giappone che ho notato.

Farsi capire in Giappone è abbastanza facile, se ci si predispone a voler capire a propria volta un paese, prima di recarsi in visita nello stesso. Imparare qualche frase essenziale in giapponese non dovrebbe essere uno sforzo immane, ad esempio, perlomeno i saluti e i ringraziamenti. La volontà di dimostrarsi rispettosi del luogo in cui ci si reca e delle sue persone viene sempre percepita e gradita.

Poi, esiste quello strano fenomeno di cui si lamentano diverse persone non giapponesi che conoscono bene la lingua, per cui anche se ti rivolgi in giapponese agli autoctoni questi insisteranno nel cercare di parlarti in inglese, tenendo conto solo del tuo aspetto. Personalmente mi è capitato spesso il contrario, che in Giappone iniziassero a parlarmi direttamente in giapponese come dando per scontato che lo capissi e parlassi (sono anni che lo studio, tra corsi e per conto mio, ma la strada è ancora molto lunga).

Per concludere, non considerate quello della lingua un problema che possa in alcun modo rovinare l’esperienza di un viaggio. Consideratelo però un aspetto per il quale varrebbe la pena magari investire un po’ di tempo per imparare qualche frase in giapponese, e poter godere così ancora di più del viaggio in questo meraviglioso paese.