I consigli empirici di Stanze Giapponesi vi dà il benvenuto! Si tratta una nuova categoria di articoli che vi terrà compagnia qui nel blog, e che raccoglierà, suddivise per capitoli, le esperienze di questi anni di viaggi, insieme a riflessioni e questioni che si pongono durante l’organizzazione di nuovi viaggi. Mi sono resa conto che molte cose sono cambiate nel corso del tempo, e che qualcosa che potevo aver scritto in quanto a organizzare un viaggio in Giappone negli anni scorsi potrebbe non essere più attuale, quindi mi verrebbe da dire che ripartiamo un po’ insieme.
Perché “empirici”? Perché tutto quello di cui parlo in merito a viaggi in Giappone si basa sulla mia esperienza personale e sulle questioni in cui ci siamo imbattuti di volta in volta, su quanto accade di bellissimo e perfetto e su sbagli, imprevisti e seccature per cui occorre improvvisare, nonostante tutti i piani che ci si può essere preparati. Quindi un mix di tutto quello che può capitare in un viaggio, senza alcuna pretesa di verità assoluta e valida per tutti. Da prendersi come si trattasse di una chiacchierata durante la quale ci si scambiano esperienze che una persona può aver vissuto e sperimentato in un modo, e un’altra persona in un altro.
Premesso questo, direi di iniziare con questo Capitolo 1 dal vero e proprio principio, qualcosa che spesso non si tiene in conto ma che a mio parere occorrerebbe invece considerare l’apertura dell’esperienza di viaggio.
Perché voglio andare in Giappone?
In questi ultimi anni il Giappone è diventato meta desiderata e amata da molti italiani. Se ne parla in tantissimi modi diversi, tutti tendenzialmente molto positivi e che tendono a farlo apparire come un paese in cui è ambito andare, un luogo che una volta raggiunto per la vacanza si trasforma in una delle esperienze più belle della vita. Vuoi per la lontananza, vuoi per la diversità e suggestione rispetto a quanto ci è famigliare. Lo si fa passare anche per una sorta di meta per intenditori, per chi cerca nella vacanza aspetti più particolari e meno turistici quali possono essere altre esperienze accessibili ad un maggior numero di persone e che mettono in gioco meno fattori complessi quali appunto distanze e diversità culturali. Organizzare un viaggio in Giappone fa ancora sentire un po’ come quei viaggiatori che lo scoprirono nei secoli scorsi, una volta che il paese si aprì al resto del mondo. Fa piacere pensare a sé stessi come a qualcuno che non ha paura di sperimentare, di cambiare totalmente prospettiva, qualcuno che può suscitare ammirazione e forse anche invidia in chi invece non si azzarda a mettere piede fuori dai propri confini e zona di conforto.
La prima cosa che bisognerebbe chiedersi, secondo me, è proprio questa: perché voglio andare in Giappone? Ogni persona offrirà una risposta diversa, che forse nemmeno esprimerà compiutamente a parole all’interlocutore esterno, ma conserverà nel proprio intimo come motivazione. Io trovo molto bello quando qualcuno dice: “Andare in Giappone è il mio sogno”. Si tratta di una risposta che contiene un po’ tutto, e che è molto coraggiosa, perché spesso anche solo il fatto di avere un sogno viene giudicato come qualcosa di non concreto, quando invece è il fondamento di moltissime azioni che poi si fanno concretezza.
Serve che mi faccia un’analisi interiore per organizzare un viaggio in Giappone? Certo che no, però trovo sia stimolante capire che cosa si stia cercando in un viaggio, sia per godersi la gioia nel trovarlo effettivamente, sia per rendersi conto se invece non si sia partiti cercando qualcosa e trovando invece qualcos’altro che magari finisce per avere un valore inaspettato e più prezioso.
Tra le motivazioni che ho sentito nel corso degli anni ci sono le seguenti: perché è una cultura che mi affascina, perché ci sono dei paesaggi meravigliosi, per la cucina, per i samurai e le geisha, perché è un paese sicuro e pulito, perché la sua gente è gentilissima e rispettosa del bene comune, perché amo la tecnologia, perché voglio visitare più luoghi possibile e il Giappone mi mancava dalla lista, perché amo anime e manga, perché è un posto che mi ha sempre attirato e mi sembra di conoscerlo già da sempre, perché in un’altra vita devo essere stato giapponese, perché l’ho studiato, per il suo saper fondere antico e moderno. Ce ne sarebbero altre, sicuramente. E tutte sono motivazioni che esprimono parti di verità e aspetti di interesse.
Se dovessi circoscrivere il motivo per cui andai per la prima volta in Giappone, sceglierei sicuramente quello della fascinazione per la sua cultura, presente sin dalla prima adolescenza, fascinazione che è passata nelle sue varie fasi attraverso manga, anime, videogiochi, letteratura, arte, storia, cinema, inglobando e approfondendo tutti questi vari settori che sono andati in qualche modo a riempire lo “scrigno del tesoro”, dal quale non ho mai gettato via o rinnegato nulla, perché il Giappone per me è sempre stato composto di tutto questo, pop e tradizionale, strano e sublime. Poi, nel corso degli anni e dei vari viaggi, si sono aggiunte molte altre cose, tra le quali il fatto che trovo ancora inspiegabile, e che accetto come fosse un dono, che sia il posto in cui mi sento completamente a mio agio e posso comportami nel modo che mi risulta naturale. Ovviamente il tutto è da intendere nel contesto della vacanza, con quindi tempo libero a disposizione e lo scopo principale del divertirsi e rilassarsi. Vivere in un luogo, qualsiasi luogo, mette in gioco un complesso sistema di altre dinamiche e necessità che vanno a toccare altri aspetti della vita quotidiana e del suo svolgersi. Credo sia saggio tenerlo presente, soprattutto quando si loda senza riserve il Giappone come luogo perfetto in cui vivere e si fanno confronti con il proprio paese facendolo uscire come “perdente” rispetto ad un paese dove in fondo siamo stati in vacanza come ospiti temporanei, godendo di uno status diverso rispetto ai residenti.
Perché quindi si sta scegliendo il Giappone piuttosto che un qualsiasi altro luogo? Si vuole forse vedere il posto di cui tutti parlano, di cui raccontano le pubblicazioni sempre più presenti in libreria dove ci sono caffetterie magiche, case immerse in giardini rilassanti, gatti carini e insolenti, piccoli bar colmi di una calda umanità in vicoli scalcagnati e pittoreschi, persone che seguono una filosofia di vita quotidiana semplice, che apprezza l’armonia universale delle piccole cose? Anche questa può essere una motivazione, soprattutto per capire da dove derivino certe atmosfere che si fatica a credere possano esistere davvero.
Perché insisti sulla motivazione, mi potreste chiedere. Beh, perché di mio non mi piace vedere gente che si trova in un posto e ha l’atteggiamento di indifferenza di chi potrebbe essere in qualsiasi altro posto. Che, notate bene, non è l’atteggiamento di un viaggiatore che magari si propone di vedere più mondo possibile e vuole vedere un nuovo paese, e che quindi si trova a viaggiare nell’ennesimo paese diverso da quanto ha già visto. Questa sarebbe pur sempre curiosità e voglia di sperimentare. Persone così sono abituate ad aprire la mente alla diversità di ogni luogo che incontrano, e quindi a voler capire ed adattarsi proprio per amore del cambiamento e della varietà, e della sfida che costituiscono.
Non ha molto senso organizzare un viaggio in Giappone perché tanto una meta vale l’altra e non sapete dove andare durante dei giorni di ferie, senza avere un minimo di interesse per il paese o per la sua cultura. Primo, se vogliamo dare un motivo concreto e materiale, perché si tratta di un viaggio costoso e impegnativo, e gettereste via denaro e tempo. Molti vi diranno che non è così costoso, e che adattandosi si può organizzare un viaggio in Giappone spendendo pochissimo. Il pochissimo è sempre relativo, quello che a qualcuno sembra poco può essere impossibile per qualcun altro, e le condizioni che questa economicità presuppone inoltre si correlano sempre al tipo di esperienza che si vivrà nel paese. Secondo, perché partire con totale indifferenza verso il paese che si sta andando a visitare non lo trovo rispettoso. Vale per qualsiasi paese. Una scintilla, per quanto piccola, deve esserci. Quella che ti porta perlomeno ad informarti su quali siano le norme minime di comportamento, e a cercare di seguirle una volta che ti troverai lì.
Se state leggendo questo articolo sicuramente non fate parte di tale categoria, perché l’interesse e il porgersi verso un paese e una cultura c’è già. Ma anche durante i viaggi ne ho viste di persone – italiane e non – che avrebbero potuto benissimo essere nel parco a cento metri da casa o nel loro salotto, e sarebbe stato lo stesso, ai loro occhi e per il loro atteggiamento.
Condensando questa lunga chiacchierata, quindi, quello che vi consiglio quando nasce in voi il desiderio di voler andare in Giappone è di prenderlo tra le mani, questo desiderio, guardarlo per cercare di scorgerne i particolari, scendere in voi stessi per capire che sì, è proprio lì che vorrete andare in un certo momento, e non altrove. Vi aiuterà a vivere il viaggio già da molti mesi o anni prima che si compia nella sua concretezza, a farlo diventare parte della vostra quotidianità, così che i suoi effetti benefici comincino già a farvi sorridere e pregustare quanto seguirà.