Le città sono caleidoscopi. Lo penso soprattutto quando mi trovo in viaggio in Giappone, e capita che veda dei paesaggi urbani completamente cambiati. Soprattutto negli anni che precedevano le ormai imminenti Olimpiadi, Tokyo era un cantiere aperto in moltissimi punti della città, tanto che da un anno all’altro quasi non riconoscevo alcune zone che precedentemente avevo impresse nella memoria in un certo modo, magari tenendo come punto di riferimento un negozio o una certa conformazione della stazione.
Quando ci si trovava a scambiare qualche chiacchiera con delle persone del luogo, il commento era immancabilmente “Eh, è per Olimpiadi”. E nella mente mi dicevo che davvero Tokyo si stava rifacendo il look, mutando prima ancora che io potessi illudermi di conoscerla. La mappa interiore che me ne stavo facendo doveva essere corretta continuamente, aggiungendo nuove immagini, nuovi colori e posti da poter considerare anche solo un po’ famigliari. Nonostante la mia contentezza nel sapermi muovere all’interno di grandi stazioni come quella di Tokyo, che pare non perdere mai il suo carattere, alla fine devo ammettere che il sapersi muovere è non tanto un proprio merito, ma una conseguenza dell’efficienza altrui, del voler cercare di renderti comunque agevole un percorso.
Ma le città non sono caleidoscopi solo in Giappone. Vedo anche intorno a me città cambiare, l’orizzonte urbano rinnovarsi e divenire tutt’altro, spesso qualcosa di meglio. Mi sembra talvolta di vedermi scorrere davanti agli occhi, come se si volesse riprodurre con lo sfogliare veloce delle pagine l’animazione, le foto delle prime case costruite ormai all’inizio del secolo scorso, che vanno a punteggiare i campi, e poi le costruzioni che riempiono gli spazi, definiscono comunità. Qualcosa resta sempre, a ricordare dove ci si trova, a rassicurarti che anche le strade che percorrevi da bambina sono sempre lì, alcune miracolosamente identiche ad allora. Ma ricordo tuttavia quando l’ospedale in cui sono nata è stato demolito, e la sensazione strana che ho provato. Noi siamo anche i nostri luoghi, in un modo o nell’altro. Anche quando alcuni luoghi li diamo per scontati o addirittura ci vengono a noia.
Il Giappone potrà mostrare ritmi ben diversi, nel rinnovare le sue città, nel fare e disfare case ed edifici che finiscono per essere sempre relativamente recenti, rispetto all’idea che potremmo avere noi del voler preservare il più possibile, prima di arrivare alla tabula rasa dalla quale innalzare qualcos’altro. C’è una cultura molto diversa, di base, difficile talvolta da capire, che non vede nel costante rinnovamento necessariamente qualcosa di negativo. Il caleidoscopio gira, si mostrano nuovi colori, che magari suscitano emozioni nuove, ma che possono avere di base lo stesso disegno, lo stesso spirito. Il Giappone è pur sempre il paese in cui il santuario dedicato alla divinità più importante viene ricostruito del tutto ogni vent’anni.
Un continuo rinascere e rinnovarsi, imparato anche per la necessità di doversi rialzare spesso, nel corso della storia dell’arcipelago, e ricostruire dopo che le forze della natura o le alterne vicende umane avevano distrutto quanto si era innalzato. Non c’è mai del tutto l’illusione che qualcosa possa essere davvero eterno. Pare una sorta di adeguarsi e fluire insieme ai ritmi mutevoli di una natura difficile che si conosce nelle sue manifestazioni.
Non che questa consapevolezza renda immuni dalla nostalgia per certi angoli, o che non si decida di mantenere in certi posti l’atmosfera che nel corso del tempo si è arrivati ad amare e considerare unica. Così come non sempre il paese è stato immune da quello che era un costruire dettato da meri interessi. Come ovunque.
E ovunque, le città possono essere caleidoscopi, basta guardarsi intorno. Il loro aspetto può mutare e disorientare chi non vede il processo nel suo evolversi. Ma le città sono sempre e soprattutto le persone, e l’impronta che queste, con il loro vivere quotidiano, danno ad ognuna di loro giorno dopo giorno, senza nemmeno rendersene conto.