Cosa è cambiato in Giappone rispetto al mio viaggio precedente, che risaliva a giugno 2019?
Diverse cose, eppure al tempo stesso alcune cose non sono cambiate affatto.
Prima di partire mi domandavo come avrei trovato il paese, se avrei notato delle differenze rispetto alle esperienze precedenti. Mi pareva impossibile che tutto fosse rimasto come prima, perché nessun luogo e nessuno di noi è rimasto davvero come prima, dopo quanto accaduto nei primi mesi del 2020, quel periodo della pandemia che a ripensarci sembra stato un sogno strano e pauroso, un buco di mesi che pare di non aver vissuto veramente.
Ma non era solo per la questione pandemia che mi domandavo cosa potesse essere cambiato in Giappone dopo poco più di quattro anni. Vedevo il paese cambiare anche nell’immagine che sempre più notavo gli si stava attribuendo, non appena il periodo peggiore della pandemia era trascorso. C’era – e c’è ancora – un creare aspettativa e un narrare il Giappone come meta desiderabile che andava aumentando sempre di più. Mi pareva di vedere rappresentato ovunque un paese che non riconoscevo come quello che avevo vissuto io nelle mie esperienze di viaggio precedenti. Temevo che presto quella particolare narrazione e visione declinata in sempre più numerosi siti, profili, pagine, video, avrebbe finito per confondere persino i miei ricordi, che mi tenevo stretti per dirmi che quello era quanto sapevo essere vero.
Il Giappone va di moda da molto tempo, ma mai come in questi ultimi anni c’è stato un vero e proprio boom di interesse, e un conseguente sfruttare il più possibile qualcosa che attrae – e quindi rende – da parte di moltissime realtà. Da una parte, buon per chi ha sempre amato tale cultura, visto che ad esempio si sono moltiplicati i prodotti editoriali, con vertici mai raggiunti prima in quanto a offerta e disponibilità. Dall’altra, c’è il rovescio della medaglia nel vedere talvolta banalizzato per mero profitto qualcosa a cui tieni.
Ma tornando alla domanda che apre l’articolo, cosa è cambiato in Giappone?
I flussi turistici sono aumentati, visibilmente. Nonostante io sia stata in un periodo festivo e particolare, per cui mi aspettavo tantissima gente, e nonostante alcuni giorni fossero periodo festivo anche per molti autoctoni, in effetti in alcuni momenti è stato davvero impressionante. In certi luoghi si è costantemente parte di folle, bisogna quindi armarsi di pazienza.
Spesso ci è toccato peregrinare da un luogo all’altro per trovare un posto in cui sedersi a mangiare, a pranzo o a cena, perché era tutto stracolmo ovunque, e o ti metti in coda programmando minimo una mezz’ora di attesa, oppure vai altrove, o decidi di cenare alle 17.
Certo è possibile programmare gli spostamenti e le visite in orari in cui ci sono meno flussi, ma in realtà se si vogliono vedere alcuni luoghi famosi bisognerebbe anche andarci durante gli orari di apertura per poter vedere tutto per bene, e diventa quindi abbastanza inevitabile trovare tanta gente.
Insomma, si possono scegliere certo itinerari meno battuti, ma mettendosi nei panni di chi visita il paese per la prima volta personalmente credo che quello dei luoghi segreti che i turisti non conoscono sia in realtà un discorso che ha senso fino a un certo punto. Se fossi una persona che visita il Giappone per la prima volta vorrei vedere il Kiyomizudera, il padiglione d’Oro, la foresta di bambù di Arashiyama a Kyoto, o Asakusa, Shibuya e Shinjuku a Tokyo, giusto per fare un sintesi esemplificativa estrema. Mio parere, ovviamente. Poi, lasciatemi fare un’osservazione ironica: ultimamente mi viene da sorridere quando sento dire “Sono stato in un posto autentico, in cui non c’erano turisti occidentali”. Mi verrebbe da rispondere “Non è vero che non c’erano turisti occidentali. C’eri tu, che sei occidentale e sei un turista, o un viaggiatore che dir si voglia”.
Altra cosa che ho notato, è che purtroppo rispetto ad una volta ci sono molti più luoghi in cui si trova immondizia in giro. Intendiamoci, il Giappone resta sempre e comunque un paese dove mediamente e di norma c’è una pulizia ed un’attenzione estrema alla stessa (non ha nemmeno senso fare paragoni con l’Italia), ma questa volta ho trovato parecchie volte, all’interno dei bagni pubblici o semplicemente abbandonate in giro lungo muretti, panchine o lungo la strada, lattine e bicchieri di bevande, e ho visto lungo le strade di molti quartieri (Shinjuku su tutti) spazzatura accumulata e lasciata lì sino a tarda mattinata, o carte e fazzoletti per terra. Prima che qualcuno se lo domandi, perché magari vorrebbe una qualche sorta di prova, no, non mi sono messa a fare foto alla spazzatura, quindi o mi credete sulla parola oppure liberi di non credermi, ci mancherebbe.
Certo il tutto può essere attribuito proprio all’aumento sensibile del turismo e alla presenza di tante persone con abitudini diverse per quanto riguarda il rispetto degli spazi comuni, almeno, tra me e me l’ho giustificato in questo modo, anche se mi sono capitati bagni sporchi e lattine abbandonate anche in zone lontane dai flussi turistici. Semplice caso? Forse. Certo che se questa volta ne sono rimasta colpita, è perché in passato la cosa mi pareva molto più rara.
Altri aspetti che mi vengono in mente se mi si chiede cosa è cambiato in Giappone dal punto di vista pratico: ho trovato molti più asciugatori per la mani ad aria nei bagni pubblici. Io mi ero premunita di mini asciugamani da tenere in borsa, memore della scarsa presenza degli stessi o di salviette di carta per asciugare le mani durante gli anni precedenti, e invece me ne sono servita decisamente meno volte del previsto. Comunque, se vi capita di andare portatevelo lo stesso che torna utile per quei bagni pubblici in cui invece continuano a non esserci mezzi per asciugarsi le mani .
Mi è parso si siano moltiplicati, soprattutto a Kyoto, ma credo anche a Tokyo visto il numero di turisti stranieri che vedevo vestiti in kimono, i negozi di noleggio di abiti tradizionali. Già qualche anno fa erano tanti (sia i negozi che i turisti vestiti a tema), ma quest’ultima volta erano ancora di più.
In compenso ho notato che si sono ridotti moltissimo gli spazi dedicati ai classici souvenir economici pensati proprio per turisti in negozi generalisti come Daiso. Si continua a trovarli più che altro in quei negozi a vocazione prettamente turistica che spingono la possibilità del Tax Free.
La gente del luogo nei confronti dei turisti non mi è parsa avere un atteggiamento scostante o scocciato, o meglio, parlando nello specifico, l’occidentale non è decisamente più una sorpresa o qualcosa di straniante. Se si va in certi posti comunque l’espressione è sempre quella del “ma cosa ci fai qui, come mai ti interessa vedere queste cose”. Tuttavia la situazione con l’uso dell’inglese come lingua veicolare non mi è sembrata migliorata, c’è sempre un po’ di difficoltà, anche in contesti dove ci si aspetterebbe venisse parlato senza problemi. Può capitare anche di trovarsi in mostre o musei dove non c’è la doppia lingua, e viene messo solo a disposizione un depliant esplicativo in inglese.
Ho visto negli autobus a Kyoto dei cartelli che vietano di salire con le valigie grosse, non so se poi vengano fatti effettivamente rispettare, perché non abbiamo avuto occasione di vedere gente che tentasse di salire con valigie enormi, e perché questa volta per la prima volta abbiamo scelto di far spedire le valigie grandi da un hotel all’altro. Tale servizio tra l’altro ormai è diffusissimo, ed è anche diventato più economico rispetto al passato. Per due valigione spedite da Tokyo a Kyoto, per fare un esempio, abbiamo pagato il corrispettivo di 30 €.
Generalmente le persone tendevano a parlarmi solo in giapponese, e io mi rivolgevo in un misto inglese-giapponese perché, anche se molte frasi in lingua giapponese le avevo bene in mente, e anche se capivo molto di più rispetto ad anni fa, poi al momento di parlare andavo in blocco. In questo viaggio, rispetto alle volte precedenti ho sentito molto una sorta di illogica ansia da prestazione che mi faceva un po’ impappinare.
Circa la questione mascherine, non ho notato un aumento esponenziale dell’uso delle mascherine rispetto a quanto già avveniva prima della pandemia. I primi giorni di viaggio tenevo costantemente la mascherina, poi mi sono resa conto che in realtà non venivo guardata male da nessuno se non la tenevo, la cosa pareva abbastanza indifferente, e c’era praticamente la metà delle persone del luogo che non la portava affatto. Ovviamente è sempre buona norma indossarla se si è raffreddati, ma questo dovrebbe valere ormai anche qui in Italia, cosa che invece a quanto pare è dura a sedimentarsi tra le norme della semplice buona educazione.
Altra cosa che ho notato è stato un numero maggiore di giovani che si vestivano in modo più originale e anticonformista rispetto alla norma, e più coppie ragazzo e ragazza nei locali dove precedentemente vedevo per lo più solo ragazze, come le caffetterie che servono torte o dolciumi.
Ho scritto un po’ a ruota libera e senza uno schema preciso delle mie personali impressioni rispetto ai viaggi precedenti, così come mi venivano in mente i vari particolari.
Di fronte alla domanda cosa è cambiato in Giappone, quindi, ci tengo a rispondere sottolineando che intimamente mi sono resa conto che il Giappone che amo non è cambiato, quel suo nocciolo che me lo rende unico e che me lo fa scegliere e desiderare costantemente come luogo in cui tornare è sempre lì. E questo era quello che per me era più importante ritrovare.