C’è una bellissima parola giapponese, komorebi, che rievoca la luce che filtra tra le foglie degli alberi. Questa sera stavo pensando proprio a questo fenomeno, così comune, tanto che la frenesia della vita quotidiana porterebbe talvolta a non accorgersene nemmeno, eppure così poetico, con sua bellezza generosa che lo rende diffuso in ogni luogo in cui vi sia della vegetazione. Una danza di luce che rende ancora più preziosi gli alberi, che in alcuni momenti del giorno paiono brillare e, che mostra ancora più palese il loro essere vivi ed essenziali. Credo sia molto bello aver coniato una parola apposita per questo fenomeno, denota l’attenzione e il rispettoso stupore per certe manifestazioni della natura che divengono tutt’uno con i moti interiori del proprio animo. Il domino di pensieri mi porta quindi a pensare ai paesaggi ammirati in Giappone, il paese da cui nasce questa parola, scorci di natura in cui la luce giocava una parte fondamentale per quanto riguardava il donare un tocco in più alla bellezza del momento. Con questo post mi fa piacere parlarvi anche per immagini, mostrandovi alcune delle foto scattate durante i miei viaggi e che mi sono particolarmente care.
La luce che ho ammirato in Giappone poteva essere quella che metteva in risalto i colori caldi di antichi edifici, o la magnificenza di statue dorate all’interno di templi in penombra. Ma la luce che preferivo e che maggiormente mi rasserenava era proprio quella che, in concerto con la natura, creava delle vere e proprie bolle sospese nel tempo e nello spazio, in cui non vi era altro che il verde, il riverberare dei riflessi e i suoni cantati da animali o dagli elementi.
Ricordo la natura intorno al Ginkakuji, il Padiglione d’argento, che immerso nella luce piena del pomeriggio pareva fondersi con il paesaggio, come legno vivo tra gli alberi e il verde circostante. Camminando in salita sulla collinetta che permette di vederlo dall’alto, attraversando zone in cui si fondono il giardino e un’apparenza di natura libera, la luce cambiava continuamente. Dalle zone intorno al padiglione, dove le ombre proiettate dai rami degli alberi disegnavano il fondo chiaro di un giardino di pietra, mettendone in rilievo le minuscole onde di un mare immaginario, sino al verde tutto intorno che veniva a tratti colpito da una vera e propria pioggia di luce dal riverbero talvolta nei colori dell’arcobaleno. Le macchie di luce solare che riusciva ad attraversare le fronde sino a terra creavano pozze di luce dorata o screziavano il nostro stesso volto incantato dal suo spettacolo caleidoscopico.
Anche intorno al Kinkakuji, il Padiglione d’oro, la natura si dispiegava magnifica in un dialogo continuo tra l’artificio dell’uomo, che pure cerca di mantenere l’impressione di poetica e perfetta imperfezione, e il rigoglio di quanto non sembra quasi essere toccato dalle sue mani. E la luce poteva qui infrangersi nei diamanti liquidi di una cascatella che emanava dal folto del verde.
Come dimenticare poi la luce soffusa che filtrava attraverso la foresta di bambù, ad Arashiyama? Qui ci si ritrova all’interno di un labirinto in cui sembra di perdere ad ogni istante il senso dell’orientamento e della realtà di tutti i giorni che attende fuori dall’intrico della foresta. Gli occhi si riempiono di verde in tutte le sue sfumature, e tra queste tinte si insinua la luce di un cielo lontano, molto oltre il tetto di flessuosi steli che si muovono galleggiando in una corrente invisibile. Il suono delle cicale d’estate, che verso sera si tramuta nel canto dei grilli, crea ancora di più l’impressione di trovarsi in un mondo altro, dove l’uomo ha il ruolo di spettatore incantato.
In ogni viaggio in Giappone ricerco sempre con occhio pieno di desiderio la luce che si posa sui particolari, essa stessa elemento fondamentale per dipingere nella memoria il ricordo di paesaggi unici, colti in un momento irripetibile che lo sguardo fissa nel proprio tempo interiore, mentre tutto intorno già la luce è cambiata, e un nuovo tipo di bellezza ti si sta già mostrando.