A volte ci sono delle strane notti. Notti in cui lo scorrere del tempo subisce dei leggeri sfasamenti o in cui riesco a vedere le cose che mi stanno intorno tutte in una volta sola. Il ticchettio del pendolo che continuo ad ascoltare senza prendere sonno e i raggi della luna che illuminano il soffitto dominano le tenebre, proprio come quando ero piccola. Eterne sono le notti. E mi sembra che in passato lo fossero ancora di più. Con quel loro lieve odore di chissà che cosa. Talmente leggero da sembrare dolce, quello era l’odore degli addii.
Banana Yoshimoto, Tsugumi, ed. Feltrinelli, p. 58
Tra i romanzi che risiedono nel mio immaginario, compagni della tarda adolescenza che pian piano sfociava verso l’età adulta, Tsugumi di Banana Yoshimoto ha sicuramente un posto speciale. L’autrice, tra le scrittrici giapponesi più note ed amate in Italia, scrive romanzi dolci, spesso incentrati sul tema della perdita, sull’affrontare il dolore causato dal cambiamento. Tutti i suoi libri sono scritti in un tono garbato e delicato, con descrizioni luminose ed evocative. Gli eventi vengono sempre raccontati attraverso le azioni e i dialoghi più semplici della vita quotidiana, senza grandi scossoni narrativi, con il risultato di infondere nel lettore una sorta di malinconia leggera, di serenità e senso di accettazione, mentre si seguono le vicende dei protagonisti, di solito alle prese con le conseguenze di loro decisioni o con il distacco da luoghi o persone amate, situazioni sofferte nel momento in cui sono state vissute, ma in parte superate, ormai cicatrizzate nell’animo.
Tsugumi è un romanzo sulla giovinezza che secondo me andrebbe letto proprio durante questo periodo. Racconta dei ricordi di un’estate, narrati da Maria, una ragazza calma e assennata, che rievoca le ultime vacanze estive trascorse nel paese natio, e descrive i suoi rapporti con Tsugumi, la cugina, ragazza bellissima e dalla salute cagionevole, dotata di un carattere perfido e intrattabile. La vera protagonista diviene proprio Tsugumi, un misto di grazia e caos, personaggio davvero particolare ed indimenticabile: i suoi attacchi di rabbia, le sue cattiverie, i numerosi momenti in cui la sua salute crolla, animano gran parte del romanzo. Ma protagonisti, insieme alle ragazze, sono i ricordi, i paesaggi e i momenti di passaggio che pian piano le conducono dall’adolescenza verso l’età adulta. L’estate di Maria, che descrive suggestioni, piccole abitudini, sensazioni vissute in questo paese sul mare, diviene una di quelle estati che ognuno di noi ha vissuto, con le prime malinconie, i primi amori, i conflitti e lo stupore. Le estati che vivono nei ricordi e formano un dolce scenario al quale ogni tanto la mente ama ritornare, osservandolo da lontano nei suoi colori ormai sfumati, ma impressi nell’animo.
In una notte con un’aria così pulita, le persone finiscono col raccontarsi. Senza accorgersene, aprono il proprio cuore, e, rivolte a chi gli sta accanto, cominciano a parlare come se stessero confessandosi con delle stelle che splendono nello spazio. Nello schedario del mio cervello, alla voce “Notti d’estate”, ci sono un sacco di immagini di notti come questa.
Ibidem, p. 65
Perchè amo questo libro, anche a distanza di anni dalla sua prima lettura?
Perché parla di come il tempo passi inesorabilmente, e si perda sempre qualcosa, lasciato nello scrigno dei ricordi. Mostra come ogni esperienza, nel momento stesso in cui la si vive, si possa velare di una lieve tristezza, in quanto, soprattutto se gioiosa, sta già passando.
(…) emozionate da qualche cosa, lungo quel promontorio, nel pieno della notte, con il vento che scuoteva gli alberi. Scendemmo per una stradina scoscesa e ci imbattemmo nel villaggio di pescatori avvolto dalle tenebre. Alla fine riuscimmo a vedere la spiaggia. In quella insenatura coperta di sassi c’erano delle case fantasma con porte e finestre sbarrate. Al largo, una bandiera sventolava in compagnia delle onde. Una brezza fresca soffiava, rinfrescando le nostre guance accaldate. Tutte e tre insieme ci comprammo la Coca-cola. Il rumore del distributore automatico fece sussultare l’intera spiaggia. Il mare scuro si agitava indistinto davanti ai nostri occhi. E le fioche luci del paese risplendevano in lontananza come un miraggio. “Sembra di essere in un altro mondo” disse Tsugumi e noi confermammo con un cenno d’assenso.
Ibidem, p. 62
Perché contiene dei passi, delle descrizioni, che ancora oggi fanno parte del mio immaginario, che mi hanno permesso di vedere con occhi diversi angoli urbani e naturali che talvolta vengono dati per scontati. Forse è il primo libro che, tanti anni fa, mi ha fatto capire che mi sarebbe piaciuto vivere dei paesaggi così, prima o poi, e me li ha fatti sentire prima ancora che vedere. Quando, molti anni dopo, in Giappone ci sarei stata davvero, questi angoli così ben descritti mi si sarebbero presentati dinanzi con tutta la poesia che la scrittura di questa autrice ha loro donato.
Ci avvicinammo al ponte e, all’improvviso, Yoko disse: “Guarda quanti fiori là sotto!”
Sugli argini di cemento all’estremità del ponte c’erano delle piccole strisce di terra su cui, esposta alla dolce brezza notturna, era fiorita una moltitudine di fiori bianchi. “E’ vero!” esclamai. Bianchi, galleggiavano nell’oscurità. Ogni volta che, flessi dal vento, ondeggiavano tutti insieme, per qualche istante restava un’immagine bianca, proprio come succede nei sogni. Al loro fianco il fiume scorreva mormorando. Illuminato dalla luce della luna, serpeggiava nel buio verso la sua lontana meta, descrivendo una lunghissima scia di scintille.
Ibidem, p. 29
Nonostante abbia letto molti altri romanzi di Banana Yoshimoto, e la apprezzi per la semplicità con cui riesce a trasmettere la quieta poesia della vita quotidiana, nessuna delle altre sue opere mi è rimasta dentro come questa. Ed è quando questo accade, che si compie la magia dei libri.